Dalla Puglia a Roma, i detenuti consegnano al Papa i loro taralli che fanno parte del progetto della diocesi di Andria “Senza sbarre”
“Continuo a non crederci. Non mi sembra vero di essere stato a tu per tu col Papa: era vicino a me, gli ho parlato a quattr’occhi. È stata un’emozione fortissima e non trovo altre parole per descrivere quello che ho vissuto”. La voce di Sakho Mamadou, 30enne di nazionalità senegalese, trema quando racconta alla Dire (www.dire.it) quanto vissuto a Roma, nell’aula Paolo VI dopo l’udienza generale del Santo Padre.
Il Pontefice ha incontrato lui e altri nove ragazzi che fanno parte del progetto della diocesi di Andria “Senza sbarre” pensato per rieducare alla legalità chi ha vissuto o vive l’esperienza carceraria. “Non posso dire che sono diventato rosso – ride – ma avevo il cuore che batteva a mille per la gioia, la sua benedizione, l’umiltà e la semplicità con cui si è avvicinato a noi sono state grandiose”.
Il gruppo ha donato a Bergoglio pasta, taralli e olio. “Sono il frutto del nostro lavoro, del nostro impegno, delle nostre mani per non sentirci più “scartati” e non avere più il marchio del detenuto. Quei taralli sono il nostro riscatto”, dice il 30enne con un passato fatto di campi di calcio.
Ha militato nel Nardò, nel Galatina e nel Sassari, poi sono arrivate le prime delusioni, gli insulti dagli spalti, la depressione e le rapine che gli hanno aperto le porte del carcere. “Lui ha sbagliato e lo sa ma ora sta ricostruendo la sua vita e l’incontro di oggi di sicuro lo aiuterà ancora di più”, commenta don Riccardo Agresti che conosce bene “i ragazzi di masseria San Vittore”, così si chiama il luogo in cui vengono preparati i prodotti da forno e l’olio extravergine di oliva.
“A Papa Francesco abbiamo regalato anche due libri, in uno c’è la storia di Mamadou”, sottolinea don Riccardo ed evidenzia: “Il Pontefice è molto vicino alla realtà carceraria e i detenuti saranno protagonisti della Via Crucis del Venerdì santo”.
Il gruppo è ora in viaggio, rientra in masseria: “Poter andare a Roma oggi è stata una grande prova di fiducia per questi ragazzi. Alcuni sono in regime di semilibertà, un altro è un ergastolano e gli altri sono affidati al progetto. È andato tutto come doveva”, sospira don Riccardo.
“Io volevo che il Papa assaggiasse i taralli, avrei tanto voluto vedere la sua reazione, sapere se gli piacciono ma non è stato possibile”, rivela Mamadou che tutti in comunità chiamano Matteo perché “mi sono convertito al cattolicesimo il 21 settembre, giorno di San Matteo e ho preso il suo nome”.
Il sogno più grande ora è un altro: “Rivedere il Papa a Bari quando verrà a febbraio e che magari abbia il tempo e il modo per raggiungerci ad Andria. Sarebbe stupendo”, confida Mamadou.