La scelta della migliore opzione terapeutica per la depressione post-ictus rimane più empirica che scientifica secondo una nuova revisione
La scelta della migliore opzione terapeutica per la depressione post-ictus rimane più empirica che scientifica, essendoci poche prove a supporto di un approccio terapeutico rispetto a un altro nelle ricerche più recenti, secondo una nuova revisione Cochrane.
Gli autori, coordinati da Maree Hackett, direttore del programma di Salute mentale alla University of New South Wales di Sydney (Australia), riportano che vi è «una bassissima certezza delle prove» quando si valutano trattamenti farmacologici, stimolazione cerebrale non invasiva, strategie psicologiche o una combinazione di questi approcci. Tuttavia, aggiungono, vi è un’indicazione secondo cui la combinazione di antidepressivi con altre terapie potrebbe offrire un piccolo vantaggio.
«Ora abbiamo prove di un piccolo vantaggio da terapie del linguaggio, stimolazione cerebrale non invasiva e trattamenti combinati per ridurre i sintomi depressivi, come la combinazione di antidepressivi con terapia del linguaggio o stimolazione cerebrale non invasiva» precisano. Peraltro, il quadro rimane poco chiaro rispetto agli effetti avversi dei vari tipi di trattamento. In molti casi, «in questi studi i rischi non sono stati ben documentati» sostengono Hackett e colleghi.
Carenze nel disegno degli studi, sia pregressi sia recenti
Molti nuovi studi randomizzati e controllati presentano «le stesse carenze degli studi precedenti», tra cui un campione troppo limitato, partecipanti molto selezionati, scarsa registrazione o segnalazione di eventi avversi e altri rischi e molteplici misure per gli endpoint depressivi senza identificazione a priori di una misura di esito della depressione primaria. «Questo rende molto difficile essere certi che i risultati di questi studi saranno applicabili alla vasta gamma di persone che hanno un ictus» scrivono gli studiosi.
I ricercatori affermano di aver condotto una revisione aggiornata Cochrane perché, «nonostante la depressione possa influenzare il recupero e gli esiti a seguito di ictus, molte (forse la maggior parte) delle persone con ictus non ricevono un trattamento efficace perché il loro disturbo dell’umore non è diagnosticato o è trattato in modo inadeguato».
Ricerche precedenti suggeriscono che il 25% dei pazienti con ictus non è sottoposto a screening per la depressione. Inoltre, solo il 60% a cui questa viene diagnosticata riceve supporto, includendo prescrizioni di antidepressivi dopo la dimissione dall’ospedale. Altri studi hanno suggerito che alcuni pazienti traggono beneficio dalla prescrizione a lungo termine di antidepressivi, ma si coglie «un piccolo tentativo di abbinare la prescrizione alle necessità».
L’attuale revisione Cochrane
Per capirne di più, i ricercatori hanno esaminato le prove per determinare quali trattamenti hanno ridotto la prevalenza di depressione post-ictus diagnosticabile. La funzione neurologica e la qualità della vita correlata alla salute erano considerati esiti secondari.
La revisione ha incluso 49 studi condotti in Asia, Europa, Nord America e Australia per un totale di 3.342 partecipanti (fascia di età media: 55-78 anni). Alcuni trial hanno caratterizzato più di un confronto. Dei 56 confronti totali nella revisione:
- 20 erano confronti farmacologici;
- 8 erano confronti non invasivi di stimolazione cerebrale;
- 16 erano confronti di terapia psicologica;
- 12 erano studi di terapia di combinazione.
La maggior parte degli studi includeva partecipanti con ictus ischemico. In generale, quando i ricercatori hanno confrontato le prove tra le diverse strategie di trattamento per ridurre i sintomi della depressione post-ictus, dopo aver migliorato la funzione neurologica e/o diminuito il rischio di eventi avversi, sono stati interrotti.
La maggior parte degli esiti presentava una «certezza delle prove molto bassa» o nessun dato disponibile, incluso il principale esito del trattamento farmacologico rispetto al placebo per la depressione post-ictus. Quando si esaminava la stimolazione cerebrale non invasiva e la si confrontava con la stimolazione cerebrale “sham” (finta) e/o le cure abituali, o non erano disponibili dati o c’era una certezza molto bassa di prove.
La situazione era simile per i confronti di varie combinazioni di terapia psicologica, farmaci e stimolazione cerebrale non invasiva. Inoltre, vi era una certezza molto bassa di prove che le varie opzioni terapeutiche migliorassero la qualità della vita correlata alla salute.
Allo stato attuale, giustificato un trattamento cauto
Poiché le prove non forniscono una forte guida sulla migliore opzione terapeutica, «è giustificato un trattamento cauto per i pazienti con evidente depressione» affermano Hackett e colleghi. «I farmaci antidepressivi possono aiutare le persone con sintomi depressivi persistenti dopo l’ictus, ma è necessaria attenzione nel loro uso, poiché si sa poco sui loro effetti collaterali» in questa popolazione, scrivono i ricercatori, aggiungendo che potrebbe essere presa in considerazione anche la terapia psicologica.
I futuri studi sulla depressione post-ictus, sottolineano Hackett e colleghi, dovrebbero includere un numero maggiore di pazienti e sono necessarie ulteriori ricerche prima di poter formulare raccomandazioni sulla scelta ottimale del trattamento.
«Abbiamo bisogno di ricerche per identificare chi potrebbe trarne beneficio senza rischi inaccettabili» ribadiscono. Inoltre, sono necessari risultati di trial di alta qualità per valutare nuovi interventi, aggiungono gli autori.
«Esistono altre opzioni terapeutiche che possono essere esplorate nelle persone con ictus: la stimolazione transcranica a corrente diretta al domicilio del paziente, interventi elettronici, inclusa la teleterapia e auto-aiuto online, guidati o meno» ricordano infine.