Prurigo nodularis, nuove speranze per i pazienti: risultati promettenti per la terapia con l’anticorpo monoclonale nemolizumab
Il trattamento con l’anticorpo monoclonale nemolizumab per il prurigo nodularis, una patologia cutanea per la quale non sono disponibili opzioni terapeutiche approvate, in quattro settimane ha ridotto il prurito del 53%, rispetto a un miglioramento di solo 20% osservato con il placebo. È quanto emerge dai risultati di un trial di fase II i cui risultati sono appena stati pubblicati sul New England Journal of Medicine.
Il prurigo nodulare (prurigo nodularis) è una condizione dermatologica cronica che presenta noduli duri, estremamente pruriginosi ed escoriati sulle superfici di braccia, gambe e tronco. I malati possono avere da pochi a centinaia di noduli. È più comune nella mezza età o in età più avanzata e può essere associato a diverse condizioni sistemiche, come le malattie renali croniche, il diabete di tipo 2 e l’infezione da Hiv.
Il segno distintivo della malattia è il prurito inarrestabile, che ha una maggiore intensità, frequenza e impatto sulla qualità della vita rispetto al prurito associato ad altre malattie croniche della pelle come la dermatite atopica e la psoriasi. La causa è sconosciuta e non ci sono terapie approvate dalla Fda per il trattamento della malattia.
«I pazienti nello studio soffrivano di questo disturbo da oltre 6 mesi. Nel gruppo nemolizumab, più di un terzo dei pazienti erano liberi o quasi liberi da lesioni entro 3 mesi e il prurito ha iniziato a diminuire entro la prima settimana» hanno scritto il primo autore dello studio Sonja Staender, del Center for Chronic Pruritus presso l’University Hospital Munster in Germania e colleghi.
«Questo è il primo studio clinico randomizzato che abbia dimostrato un’efficacia significativa di un farmaco sulle lesioni da prurigo nodularis. Un trial di fase III comincerà a reclutare pazienti nel prossimo mese di maggio negli Stati Uniti e in Europa» ha aggiunto Staender.
Riduzione del prurito e della gravità delle lesioni
Tutti e 70 i partecipanti allo studio avevano la malattia da moderata a grave, presentavano almeno 20 noduli e valutavano il loro prurito con un punteggio pari ad almeno 7 su una scala di 11 punti, dove il numero più alto indica il prurito peggiore che si possa immaginare. Le iniezioni dell’anticorpo monoclonale sono state somministrate alle settimane 0, 4 e 8.
I pazienti di entrambi i gruppi all’inizio della sperimentazione avevano un punteggio massimo di prurito di 8,4, che alla quarta settimana è sceso fino al valore di 3,9 (-53%) nei soggetti sottoposti a nemolizumab e a 6,7 (-20,2%) nei controlli che hanno ricevuto placebo (p<0,001). Sempre alla quarta settimana, mentre solo il 13,9% dei pazienti con placebo ha riferito un miglioramento moderato o una assenza di prurito, con il trattamento attivo la percentuale era del 67,7%.
Sebbene l’81,8% dei pazienti con placebo e il 70,6% di quelli nel gruppo nemolizumab abbiano inizialmente riferito che la malattia stava impattando in modo elevato/molto elevato sulla loro qualità di vita, alla settimana 12 questi rapporti erano scesi rispettivamente al 41,3% e al 16,7%. Anche la qualità del sonno, che rappresenta un grosso problema per chi soffre di prurigo nodulare, è migliorata del 56,4% con il farmaco rispetto al 26,6% con placebo.
Effetti collaterali sovrapponibili al placebo
Sono stati osservati effetti collaterali gastrointestinali, come il dolore addominale nel 21% dei pazienti trattati con nemolizumab rispetto al 14% con placebo. Le percentuali di disturbi muscoloscheletrici o dei tessuti connettivi come artralgia, spasmi muscolari, fibromialgia o dolore alla colonna vertebrale, alla mascella o mal di schiena sono state del 18% con il farmaco e del 14% con il placebo.
Gli autori hanno affermato che gli eventi avversi correlati all’uso di nemolizumab sono paragonabili a quelli osservati nel gruppo placebo e che non sono stati osservati nel programma in corso che sta valutando il farmaco anche nella dermatite atopica.
Attualmente non sono disponibili dati sul mantenimento dell’effetto. Il prossimo studio di fase III aiuterà a stabilire se sarà necessario assumere il farmaco a vita. In ogni caso, senza alcun trattamento e assistenza medica, la malattia non scomparirà e continuerà a peggiorare, ha commentato Staender.