Dermatite atopica: lebrikizumab riduce il prurito


Dermatite atopica: lebrikizumab migliora in modo dose-dipendente le lesioni cutanee, il prurito e la qualità della vita dei pazienti

Dermatite atopica: lebrikizumab migliora in modo dose-dipendente le lesioni cutanee, il prurito e la qualità della vita dei pazienti

Nei pazienti adulti con dermatite atopica da moderata a grave non controllata da precedenti terapie topiche standard, il nuovo anticorpo monoclonale lebrikizumab ha migliorato in modo dose-dipendente le lesioni cutanee, il prurito e la qualità della vita nel corso di 16 settimane, offrendo al contempo un favorevole profilo di sicurezza. È quanto emerge dai risultati di uno studio di fase IIb appena pubblicato sulla rivista JAMA Dermatology.

Lebrikizumab è progettato per legarsi all’interleuchina 13 (IL-13) e prevenire la formazione del complesso alfa-recettore IL-13/alfa-recettore IL-4 e la relativa segnalazione, inibendo così gli effetti biologici della IL-13 in modo mirato ed efficiente. Si ritiene che questa citochina sia un mediatore patogeno centrale che guida molteplici aspetti della fisiopatologia della dermatite atopica, promuovendo l’infiammazione di tipo 2 e mediando i suoi effetti sui tessuti, causando disfunzione della barriera cutanea, prurito, ispessimento della pelle e infezioni, secondo quanto comunicato da Dermira e Almirall, le aziende che lo stanno sviluppando. Il farmaco sperimentale ha ricevuto la fast track designation dalla Fda nel dicembre 2019.

«Da questo studio emergono due risultati importanti. Prima di tutto mostrano che il nuovo farmaco potrebbe rappresentare una nuova e sicura opzione di trattamento per i pazienti con dermatite atopica, che sembrerebbe poter essere somministrato ogni 4 settimane» ha dichiarato il primo autore dello studio Emma Guttman-Yassky della Icahn School of Medicine presso il Mount Sinai. «Oltre a questo i dati suggeriscono che la IL-13 sia probabilmente la citochina più importante nella dermatite atopica, altrimenti non vedremmo una simile efficacia prendendo di mira esclusivamente la IL-13».

Uno studio con dosi e somministrazioni variabili
I ricercatori hanno condotto uno studio randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, per valutare l’effetto di dosi variabili di lebrikizumab per via iniettiva ogni 2 o 4 settimane. L’endpoint primario era la variazione percentuale dell’Eczema Area and Severity Index (EASI) dal basale a 16 settimane.

Gli endpoint secondari erano il raggiungimento di un punteggio di 0 o 1 nell’Investigator’s Global Assessment (IGA 0/1), il miglioramento dell’EASI del 50%, 75% o 90% rispetto al basale, la variazione percentuale della scala di valutazione numerica del prurito (NRS) e un miglioramento di almeno 4 punti nel punteggio NRS del prurito. Sono stati anche monitorati gli eventi avversi correlati al trattamento.

I partecipanti includevano 280 adulti con un’età media di 39 anni, assegnati in modo casuale a ricevere placebo, 125 mg di lebrikizumab ogni 4 settimane, 250 mg di lebrikizumab ogni 4 settimane o 250 mg di lebrikizumab ogni 2 settimane.

Miglioramento significativo delle lesioni 
L’anticorpo monoclonale è stato associato a miglioramenti statisticamente significativi e dose-dipendenti dell’EASI dal basale alla settimana 16 rispetto al placebo. Le variazioni percentuali della media dei minimi quadrati per l’EASI erano:

  • –62,3% (37,3%) per il gruppo 125 mg ogni 4 settimane (p=0,02),
  • –69,2% (38,3%) per il gruppo 250 mg ogni 4 settimane (p=0,002) e
  • –72,1% (37,2%) per il gruppo 250 mg ogni 2 settimane (p<0,001)
  • –41,1% (56,5%) con il placebo.

Rispetto al placebo, un numero significativamente superiore di pazienti nei gruppi sottoposti a lebrikizumab 250 mg hanno raggiunto un IGA 0/1: 15,3% con il placebo rispetto al 33,7% con la dose da 250 mg del farmaco attivo ogni 4 settimane e al 44,6% ogni 2 settimane. EASI50: 45,8% con il placebo contro 77% con 250 mg ogni 4 settimane e 81% ogni 2 settimane. EASI75: 24,3% con il placebo vs. 56,1% con 250 mg ogni 4 settimane e 60,6% ogni 2 settimane. EASI90: 11,4% con il placebo rispetto al 36,1% con 250 mg ogni 4 settimane e 44% ogni 2 settimane.

Miglioramento del prurito e buon profilo di sicurezza
Nella dermatite atopica il prurito ha conseguenze negative sostanziali per la qualità di vita dei pazienti ed è considerato il sintomo più gravoso della malattia. I partecipanti hanno misurato il prurito quotidianamente tramite la scala NRS a 11 punti e un numero maggiore di soggetti nei gruppi di trattamento ha ottenuto una riduzione della gravità del prurito di almeno quattro punti rispetto al placebo: 41,8% con lebrikizumab 125 mg ogni 4 settimane, 47,4% con 250 mg ogni 4 settimane e 70% con 250 mg ogni 2 settimane (p<0,001) rispetto al 27,3% con il placebo.

Dal punto di vista della sicurezza, il farmaco è stato generalmente ben tollerato e coerente con quanto già osservato in oltre una dozzina di studi precedenti di fase II e III in diverse indicazioni, che hanno coinvolto più di 4500 pazienti. La maggior parte degli eventi avversi emergenti dal trattamento (TEAE) era di gravità lieve o moderata e non ha comportato l’interruzione della terapia. Solo un numero esiguo di soggetti trattati con lebrikizumab ha riportato TEAE di interesse clinico, tra cui reazioni nel sito di iniezione, infezioni da herpesvirus e congiuntivite.

«Se questi risultati venissero confermati negli studi di fase III, allora potremmo affermare che lebrikizumab può migliorare in misura significativa lo standard di cura per la dermatite atopica da moderata a grave» hanno scritto gli autori. «Nel loro insieme, gli importanti miglioramenti nelle manifestazioni cliniche della malattia osservati con lebrikizumab, unitamente al suo favorevole profilo di sicurezza, suggeriscono che potrebbe rappresentare un nuovo trattamento efficace e ben tollerato per le forme moderate/gravi della malattia».

Nell’ottobre 2019 è stato avviato un programma di follow-up di fase III per valutare l’efficacia e la sicurezza a lungo termine di lebrikizumab, i regimi della terapia di mantenimento e l’uso terapeutico nei pazienti più giovani.