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Congo, Avsi: virus Ebola quasi battuto

La Repubblica democratica del Congo ha dichiarato la conclusione della dodicesima epidemia di Ebola. Il vaccino ha limitato i contagi

Ebola: nella Repubblica democratica del Congo è stata dimessa dall’ospedale l’ultima persona contagiata dal virus. Tra due mesi l’epidemia potrà dirsi debellata

In Repubblica democratica del Congo e’ stata dimessa dall’ospedale l’ultima persona contagiata dal virus Ebola. Lo ha reso noto l’Organizzazione mondiale della sanita’ (Oms) il 6 marzo scorso, chiarendo che ora bisognera’ aspettare 42 giorni, ovvero due cicli interi di incubazione del morbo e si potra’ dichiarare l’epidemia debellata. “Ad oggi ne sono passati quattro, e finora sta andando tutto bene”.

Con l’agenzia Dire (www.dire.it) parla Nicolo’ Carcano, responsabile per il Congo di Avsi, ong italiana che nel Paese africano si occupa di formazione ed educazione.
Di base a Goma, nella regione del Nord Kivu, Carcano ha seguito tutto lo sviluppo della malattia, dichiarata epidemia il primo agosto del 2018 e che oggi, stando ai dati dell’Oms, ha colpito 3.444 persone, causando la morte di 2.264.

La Dire lo ha intervistato otto mesi fa, e da allora le cose sono molto cambiate: “A luglio non si riusciva a vedere una via di uscita- racconta il responsabile- avevamo migliaia di contagi e di decessi”. Il virus Ebola provoca una febbre emorragica molto potente, e, specifica il dirigente Avsi, “la mortalita’ cambia in base ad alcune caratteristiche della persona contagiata, ma oscilla tra il 67 e l’88%”.

La svolta nell’evoluzione del contagio si e’ avuto tra ottobre e novembre, quando il numero di contagi e’ iniziato a scendere in modo significativo: “C’e’ voluto un grande sforzo di tutti, anche economico. Oms, Medici senza Frontiere (Msf), le agenzia per lo sviluppo americana e britannica (Usaid e Ukaid), hanno stanziato circa 500 milioni di dollari”.

Oltre alle risorse economiche, sono state le competenze dal punto di vista scientifico a fare la differenza, soprattutto dopo la diffusione del vaccino: “Ne sono stati realizzati due- spiega Carcano- il secondo e’ stato quello piu’ efficace e immediatamente utilizzato dall’Oms per immunizzare tutte le persone che erano venute a contatto con un contagiato nelle 48 ore precedenti. Questa tecnica ha avuto un impatto impressionante nel ridurre la diffusione del virus”.

Come prosegue Nicolo’ Carcano, uno dei principali contributi dati da Avsi nella lotta alla malattia e’ rappresentato da due progetti, “volti a rafforzare l’accettazione della riposta alla malattia e sulle sue conseguenze psicosociali”. Nella prima fase di espansione dell’epidemia infatti, la popolazione locale faticava ad accogliere gli sforzi delle organizzazioni internazionali, che spesso hanno subito attacchi violenti: “Sono state date alle fiamme dei presidi sanitari, uccisi dei medici” ricorda il capo missione di Avsi. “C’era una fortissima diffidenza e rabbia, soprattutto nei confronti della pratica di bruciare i corpi delle persone decedute a causa del virus per evitare ulteriori contagi”.

Il peggio sembra quindi passato, anche se ora a spaventare c’e’ la diffusione del Covid-19, il nuovo ceppo di Coronavirus nato in Cina alla fine del 2019. Proprio oggi il Congo ha ufficializzato il primo caso di malattia nel Paese: “L’epidemia di Ebola ha lasciato segni concreti a livello di prevenzione” sostiene Carcano, che prosegue: “Oggi disponiamo di centri per il monitoraggio della temperatura corporea in molte zone di confine, oppure di dispenser di prodotti per disinfettare le mani”.

Nonostante questo, l’opinione del dirigente della ong italiana non e’ molto ottimista rispetto a una potenziale focolaio locale della malattia: “Questo Coronavirus non e’ letale come Ebola, ma si trasmette con una facilita’ che mi porta a pensare che la situazione qui in Congo potrebbe degenerare rapidamente”.

Secondo Carcano, la questione piu’ delicata e’ legata a un sistema sanitario molto precario, quasi assente, e la capacita’ di resilienza della popolazione: “Qui ci sono sacche di poverta’ e insicurezza alimentare estreme, persone che riescono ad avere un pasto completo una volta ogni due giorni: una popolazione cosi’ debilitata- si chiede l’esperto- come puo’ reagire a una nuova epidemia?”.

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