Sjogren, le stagioni non influiscono sull’andamento della sintomatologia nei pazienti secondo uno studio pubblicato su Arthritis Research & Therapy
Stando ai risultati di uno studio pubblicato su Arthritis Research & Therapy, i pazienti affetti da Sjogren non sarebbero soggetti a variazioni stagionali della sintomatologia, al contrario di quanto osservato nei pazienti affetti da altre patologie reumatologiche.
Nello specifico, lo studio non ha rilevato un effetto dell’alternarsi delle diverse stagioni dell’anno sulla manifestazione di alcuni outcome riferiti dai pazienti (PRO) associati alla malattia – fatigue, dolore e sensazione di secchezza delle fauci.
Razionale e disegno dello studio
La sindrome primaria di Sjogren (pSS) rappresenta la seconda condizione patologica ad eziologia autoimmunitaria di più frequente riscontro in clinica, caratterizzata dalla triade dolore-secchezza e fatigue e immunologicamente associata ad anticorpi antinucleari anti Ro/SSA e/o La/SSB e la presenza, in più di un paziente su 3, di strutture ectopiche linfoidi che si sviluppano negli organi bersaglio tipici della malattia, rappresentati dalle ghiandole salivari e lacrimali.
Dal momento che fatigue, dolore e secchezza rappresentano il cardine della sintomatologia condivisa da tutti i pazienti con pSS, è stato implementato un punteggio ad hoc validato a livello internazionale (ESSPRI: EULAR Sjögren’s Syndrome Patient Reported Index), in uso ormai in tutti i trial clinici sulla patologica attualmente in corso.
“Per quanto la triade sintomatologica sopra citata rappresenti un fattore di criticità per la vita dei pazienti con pSS – scrivono i ricercatori nell’introduzione al lavoro – non vi sono dati disponibili in letteratura sulle possibili variazioni della sintomatologia in base alla stagione. Se nell’AR è stato documentato un peggioramento del sintomo “dolore” e “fatigue” durante i mesi invernali e un incremento della secchezza oculare in primavera non legati a pSS, è stato ipotizzato che l’autunno e l’inverno potrebbero essere associati, in pazienti con pSS, ad un incremento della fatigue e del sintomi “dolore” e, in primavera-estate, ad una riacutizzazione della secchezza oculare e delle fauci”.
Su questa ipotesi da verificare è stato costruito il nuovo studio, che ha voluto verificare se le fluttuazioni stagionali avessero un’influenza sugli outcome di pSS sopra indicati.
A tal scopo, i ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 632 pazienti francesi reclutati in una coorte di individui affetti da Sjogren (Assessment of Systemic Signs and Evolution in Sjogren’s Syndrome), implementata nel 2006. I dati (riportati su scala VAS) relativi alla triade “dolore-fatigue-secchezza” sono stati estratti da 3 trial clinici randomizzati che stavano valutando l’efficacia di infliximab (TRIPSS; n = 103 pazienti), idroclorochina (JOQUER; n = 120 pazienti) e rituximab (TEARS; n = 120 pazienti) nonché dal follow-up a 5 anni dello studio ASSESS.
Risultati principali
Dai dati è emersa una sostanziale sovrapponibilità degli score ESSPRI nel corso delle diverse stagioni dell’anno: nello specifico, è stato totalizzato un punteggio pari a 57,7 in primavera, 59,5 in estate, 55,9 in autunno e 57,2 in inverno.
Non solo: anche le singole componenti del punteggio in questione non hanno mostrato differenze significative in relazione alle diverse stagioni dell’anno.
Nel caso del sintomo dolore, infatti, i punteggi in primavera, estate, autunno e inverno sono stati pari, rispettivamente, 52,2, 55,1, 51 e 51,7 (p=0,7541), mentre i punteggi relativi al sintomo “fatigue” sono stati pari, rispettivamente, a 61,9, 62,2, 60 e 61,9 (p=0,7973) e quelli relativi al sintomo “secchezza” sono stati pari a 58,9, 61,2, 56,9 e 57,9 (p=0,4108).
I ricercatori hanno guardato anche alle misure obiettive di secchezza in base alla stagione dell’anno. Utilizzando lo Schirmer test relativo alla secchezza oculare, l’odd ratio aggiustato di positività al test è risultato pari, rispettivamente, a 0,93 (IC95%= 0,42-1,8; p=0,82) in primavera, 0,95 (IC95%=0,43-2,14; p=0,89) in estate, e 0,75 in inverno (IC95%=0,38.1,53; p=0,53) rispetto all’autunno, considerato come periodo di riferimento.
Quanto, invece, al flusso salivare non stimolato, l’odd ratio di un flusso patologico (<0,1 ml/min) era pari a 1,23 (IC95%=0,49-2,64; p=0,58) in primavera, 0,71 (IC95%=0,24-1,43; p=0,38) in estate e 0,83 (IC95%= 0,34-1,68; p=0,6) in inverno.
Tali differenze non sono risultate statisticamente significative né clinicamente rilevante. A tal riguardo, i ricercatori hanno ricordato che i miglioramenti clinici clinicamente rilevanti dei punteggi relativi alla sintomatologia “secchezza”, “dolore” e “fatigue” sono fissati a -10, -10 e -20 su una scala VAS da 0 a 100 punti.
Riassumendo
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno notato come “…la patogenesi di pSS non debba considerarsi multifattoriale, a differenza delle altre malattie auto-immuni. E’ probabile, invece, che l’esistenza di una relazione complessa tra fattori ambientali e immunologici in grado di influenzare un peculiare background genetico possa interagire e sostenere l’insorgenza di malattia in individui suscettibili”.
Tra i possibili fattori ambientali invocati vi sono le infezioni virali (virus Epstein-Barr e citomegalovirus in inverno e virus dell’epatite B e C più comuni in primavera-estate.
Inoltre, una diversa esposizione alla radiazione ultravioletta B della luce solare potrebbe influenzare gli effetti immunomodulatori della vitamina D.
Ciò premesso, lo studio non ha rilevato evidenze di fluttuazioni significative della sintomatologia associata alla malattia di Sjogren in base alla stagione, per quanto i ricercatori hanno notato che un limite dell’analisi era rappresentato dalla mancanza di informazioni su alcuni fattori meteorologici come la temperatura, l’umidità e la pressione atmosferica.
Pertanto, l’inclusione di questi fattori in un follow-up di durata pari ad alcuni anni potrebbe migliorare la valutazione degli effetti delle stagioni e del meteo sulla sintomatologia associata a pSS, concludono.