Più della metà dei bambini con neurofibromi plessiformi non operabili ha risposto bene all’inibitore di MEK selumetinib secondo un nuovo studio
Più della metà dei bambini con neurofibromi plessiformi non operabili ha risposto all’inibitore di MEK selumetinib e nella maggior parte dei casi risposte si sono dimostrate durature, in uno studio di fase 2 pubblicato di recente sul New England Journal of Medicine e coordinato dai National Institutes of Health (NIH) statunitensi.
La monoterapia con selumetinib ha prodotto una risposta obiettiva in 35 pazienti su 50 e 28 risposte si sono mantenute per almeno un anno. Inoltre, il trattamento con l’inibitore ha portato a una riduzione duratura dell’intensità del dolore riferita dal paziente e di altri outcome funzionali e inerenti la qualità di vita riportati dal paziente e dai genitori.
Grazie a questi risultati, selumetinib portare diventare la prima terapia approvata per i neurofibromi plessiformi inoperabili associati alla neurofibromatosi di tipo 1 (NF1).
Una patologia orfana di cure
«Finora non esistevano terapie mediche efficaci per i bambini con NF1 e neurofibromi plessiformi e la strada per arrivare a trovare un farmaco capace di aiutarli è stata lunga» ha dichiarato in una nota l’autrice senior dello studio, Brigitte Widemann, del Pediatric Oncology Branch del National Cancer Institute. «Sebbene non ci sia ancora una cura, questo trattamento è in grado di ridurre le dimensioni del tumore, fa sentire meglio i bambini e garantisce loro una migliore qualità della vita».
“C’è ancora molto altro da fare» ha aggiunto. «Anche se questi bambini ottengono una riduzione della massa tumorale, molti hanno ancora tumori invalidanti. I nostri risultati, tuttavia, rappresentano un grande passo avanti e ci stimolano a lavorare ancora di più per fare ulteriori progressi nella ricerca di terapie per l’NF1».
I risultati appena pubblicati confermano e ampliano quelli di uno studio precedente che aveva fornito le prime prove secondo le quali l’inibitore MEK potrebbe ridurre i tumori di grandi dimensioni.
«La cosa diversa è che abbiamo esaminato in modo prospettico le misure di outcome funzionale e quelle riportate dai pazienti, cosa che in realtà non era mai stata fatta prima in modo sistematico» ha spiegato Andrea Gross, anch’essa in forze al Pediatric Oncology Branch dell’NCI.
Prime evidenze su selumetinib
Ad oggi, non esistono terapie approvate o standard per i neurofibromi plessiformi inoperabili, e le opzioni di trattamento disponibili per una condizione come l’NF1, una malattia genetica rara che ha svariate manifestazioni tumorali e non, progressive, sono ben poche.
L’NF1 è associata a una disfunzione della proteina attivante il GTP neurofibromina e a un’iperattivazione del pathway di RAS. Pertanto, l’inibizione di questo pathway con un inibitore di MEK rappresenta un approccio logico al trattamento.
I neurofibromi plessiformi sono tumori benigni della guaina dei nervi periferici che si sviluppano in circa la metà dei pazienti con NF1 e possono causare complicazioni sostanziali.
In uno studio di fase 1, 17 pazienti su 24 trattati con selumetinib hanno ottenuto una risposta parziale, con una riduzione mediana della massa tumorale del 31% e evidenze aneddotiche di un miglioramento clinico. Questi risultati hanno fornito le basi per lo studio di fase 2 ora pubblicato sul Nejm, che doveva confermare l’attività antitumorale e le evidenze preliminari di miglioramento del dolore e di altri segni e sintomi osservate nel trial preliminare.
Lo studio pubblicato sul Nejm
Lo studio di fase 2 ha coinvolto 50 pazienti che avevano un’età media di 10,2 anni (range: da 3,5 a 17,4). I sintomi più comuni correlati al neurofibroma erano deturpazione (in 44 pazienti), disfunzione motoria (33) e dolore (26).
Selumetinib è stato somministrato ogni 12 ore in cicli di 28 giorni. Il trattamento è continuato per 2 anni nei pazienti che non avevano una malattia progressiva al momento dell’entrata nello studio, tranne quelli che hanno avuto una risposta parziale, che rientrava tra i criteri di sospensione definiti dal protocollo. I pazienti con malattia progressiva al momento dell’arruolamento potevano continuare il trattamento fino all’ulteriore progressione della malattia.
Al basale, il volume tumorale mediano dei pazienti era pari a 487 ml e 21 pazienti su 50 presentavano un’NF1 progressiva al momento dell’arruolamento.
In totale, i partecipanti hanno completato una mediana di 36 cicli di trattamento.
I risultati chiave
Complessivamente, 37 pazienti su 50 (74%) hanno avuto una risposta parziale, che è stata una risposta confermata in 35 casi (70%). Le risposte sono state durature in 28 pazienti (il 56%) e il restringimento del tumore mediano è stato del 27,9%.
Età del paziente, volume del tumore, stato di progressione della malattia all’ingresso e posizione del tumore non sono risultati fattori predittivi di una risposta parziale.
Questi risultati sono contrastanti rispetto a quelli relativi a un gruppo di pazienti di controllo di pari età arruolati in uno studio sulla storia naturale dell’NF1, nel quale 73 pazienti su 93 (il 78%) avevano avuto un aumento di almeno il 20% del volume del neurofibroma nello stesso arco di tempo del trattamento con selumetinib effettuato nello studio della Widemann e i suoi collaboratori.
Nei 29 pazienti per i quali erano disponibili i dati, il punteggio medio su una scala validata per la misura del dolore è diminuito di 2,14 punti a 12 mesi e la riduzione di intensità del dolore si è avuta già 2 mesi dopo l’inizio del trattamento. Anche i punteggi relativi alla qualità della vita riportati dai pazienti e dai genitori sono migliorati durante il trattamento con selumetinib.
Prospettive per il futuro
Ci sono già altri inibitori di MEK approvati dalla Food and Drug Administration. Resta da vedere se selumetinib si rivelerà migliore come trattamento per i neurofibromi plessiformi. «Non lo sappiamo» ha detto Gross. «I diversi inibitori potrebbero avere una penetrazione diversa e certamente hanno emivite diverse. Un possibile vantaggio di selumetinib è che ha un’emivita relativamente breve; perciò, se un paziente ha effetti collaterali e smette di assumere il farmaco, il problema si risolverà in un tempo relativamente breve».
Altri inibitori di MEK hanno dimostrato un’attività preliminare nei neurofibromi plessiformi, dando motivo di credere che anche altri farmaci della classe possano funzionare, ha aggiunto Widemann.
I futuri studi sugli inibitori di MEK nella neurofibromatosi potrebbero riguardare da un lato combinazioni con agenti che abbiano meccanismi d’azione diversi, e dall’altro un ricorso più precoce al trattamento durante il decorso della malattia.
La Gross ha spiegato che è importante cercare di prevenire i problemi causati dai tumori. «I tumori tendono a svilupparsi nei bambini piccoli e sappiamo che nei bambini piccoli tendono a crescere più rapidamente. La domanda è: potremmo prevenire le complicanze trattando prima i pazienti, piuttosto che aspettare fino a quando non hanno già causato problemi e cercare di ridurli?».
Il potenziale neoadiuvante dell’inibizione di MEK rappresenta una possibilità affascinante che deve ancora essere esplorata. «La maggior parte dei tumori che vediamo sono inoperabili, ma se li trattassimo presto, potremmo renderli resecabili» ha osservato Widemann. Finora, ha specificato l’autrice, questa possibilità non è stata testata in modo prospettico, ma sarebbe un’altra area da valutare.
Inoltre, ha aggiunto la specialista, è già iniziato uno studio simile alla sperimentazione pediatrica su soggetti adulti con neurofibromi plessiformi.