Giustizia paralizzata per l’emergenza Coronavirus: stop alle udienze fino all’11 maggio e il Comitato Idonei Assistenti Giudiziari lancia l’allarme
La giustizia italiana resta ferma. Lo scorso 6 aprile il Consiglio dei Ministri ha prorogato fino al prossimo 11 maggio la sospensione delle attività di tribunali e uffici giudiziari su tutto il territorio nazionale.
Il provvedimento è inserito nel cosiddetto DL “Liquidità” che introduce misure urgenti in materia di accesso al credito e rinvio di adempimenti per le imprese, nonché di poteri speciali nei settori di rilevanza strategica.
Per la giustizia, nello specifico, il decreto prevede lo spostamento dal 15 aprile, già disposto dal DL Cura Italia del 17 marzo, del termine concernente il rinvio d’ufficio delle udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, fatta eccezione per quelli urgenti per cui valgono le disposizioni contenute nel decreto Cura Italia.
È prevista, altresì, la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto relativo a indagini preliminari, adozione di provvedimenti giudiziari e deposito della loro motivazione, proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, impugnazioni e, in generale, tutti i termini procedurali.
“Abbiamo valutato di attuare questa misura, sentiti anche gli addetti ai lavori, per tutelare la salute di tutti gli utenti della giustizia ed essere pronti a ripartire” ha commentato il ministro Bonafede.
Sulla decisione assunta dal Governo, è stata determinante la posizione dell’Associazione Nazionale Magistrati che, con un comunicato della Giunta esecutiva centrale indirizzato al Guardasigilli, chiedeva “l’adozione urgente di atti normativi che dispongano la proroga d’un regime che prevede la trattazione dei soli affari non differibili”.
La richiesta era quella di intervenire in maniera tempestiva in modo da consentire la programmazione delle attività giudiziarie, “per un periodo congruo con le previsioni relative agli altri servizi essenziali” ma soprattutto al fine di garantire “una disciplina uniforme sul territorio nazionale, dettata per legge e non rimessa ai provvedimenti dei dirigenti dei singoli uffici giudiziari, dirigenti che vanno altresì orientati nell’adozione dei protocolli utili per avviare le attività nella seconda fase che seguirà alla sospensione”.
Secondo l’Anm sarebbe opportuno definire in maniera meno flessibile e con gli strumenti idonei il regime successivo, previsto dall’11 maggio al 30 giugno. In poche parole, diventa indispensabile stabilire soluzioni tecnologiche praticabili per celebrare i processi in via telematica.
“Quel che è certo è che, a questo punto, il ricorso alla giustizia digitale diventa un tema centrale da cui non si può più prescindere. E pensare che, fino a qualche mese fa, intorno alla digitalizzazione le incertezze e le titubanze erano ancora tante. Ora, invece, quel processo sembra quasi normale e il balbettio di un Paese rimasto sordo per anni dinanzi ai vantaggi della rete, si è trasformato in un imperativo categorico dinanzi ad un nemico sconosciuto e beffardo. L’emergenza da Covid-19 ha spinto al ricorso della telematica, questo è vero, ma le difficoltà sono tante, anche di natura amministrativa” afferma sul suo blog il Comitato Idonei Assistenti Giudiziari.
In un’intervista del 28 marzo, rilasciata al quotidiano “Il Dubbio”, il Capo del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi presso il Ministero della Giustizia, Barbara Fabbrini, ha sottolineato l’importanza dell’utilizzo dello smart working e di aver saputo creare logiche organizzative replicabili su tutto il territorio.
Insomma, la risposta da parte degli uffici giudiziari è stata ottima e l’emergenza Coronavirus è riuscita laddove non erano riusciti neanche le norme e i confronti con i sindacati, ma le difficoltà restano.
La principale consiste nell’impossibilità per il personale delle cancellerie che lavora in smart working di accedere ai registri civili e penali. Ciò determina il blocco di ogni attività giudiziaria poiché il personale di cancellerie e segreterie opera con dei presidi che non riescono a farsi carico degli atti depositati da magistrati e avvocati.
Ogni distretto fa quello che può e quando sarà avviata la seconda fase, spetterà a presidenti di tribunali e procuratori capo, sentiti Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e autorità sanitarie, decidere su come gestire il sistema giudiziario con il rischio, concreto, di una giustizia a più velocità.
Nonostante gli uffici giudiziari abbiano adottato, con i loro tempi e risorse, gli opportuni provvedimenti, nei palazzi di giustizia italiani si è assistito ad un inevitabile “fai da te” da parte di dirigenti, funzionari, personale amministrativo e magistrati. Per una volta, non è colpa delle lungaggini della giustizia, ma di un nemico invisibile e subdolo che sta costringendo un intero Paese a fare i conti con i propri limiti.
L’impressione è di essere arrivati a un bivio. L’emergenza ha improvvisamente costretto ad accelerare l’innovazione al punto tale che, ora, tornare indietro sembra quasi impossibile.
Resta il fatto che in questi giorni, ancora una volta, a fare in modo che le attività essenziali degli uffici vadano avanti, per quanto possibile, c’è sempre il personale amministrativo che opera tramite smart working o, a rotazione, mediante presidi e già ci si chiede quale sarà la giustizia che ci restituirà questa emergenza ma, soprattutto, in quali condizioni.
Le persone che si stanno spendendo in questa fase di emergenza sono le stesse che, tra mille difficoltà, mandano avanti il sistema giudiziario nella sua attività ordinaria. Adesso è anche peggio e i capi degli uffici giudiziari, nell’organizzazione del lavoro, sono costretti a fare i conti con il capitale umano che hanno, anzi, che non hanno a disposizione.
Senza dubbio la sospensione delle udienze avrà effetti negativi su un sistema giudiziario già di per sé lento e appesantito. Il rischio è che, dopo l’11 maggio, si verrà a creare un accumulo di cause sospese che sarà difficile smaltire e il cammino verso la normalità sarà lungo.
In attesa di capire che volto avrà la giustizia al tempo del Coronavirus, sarà opportuno iniziare a pianificare un nuovo sistema giudiziario, ripartendo dal quelle risorse umane senza le quali non è possibile parlare nemmeno di digitalizzazione.
In questi giorni, il Guardasigilli Bonafede, non ha mancato di far sentire il suo sostegno a tutti coloro, personale amministrativo in primis, che si stanno adoperando per garantire i servizi essenziali con lo stop alle udienze: è giusto e anche doveroso ma il modo migliore per riconoscere e valorizzare il lavoro di chi si spende e si espone in prima persona è anche quello di rafforzare quel capitale umano che già opera negli uffici giudiziari, intervenendo con ulteriori assunzioni ancora prima che venga avviata la ripresa.
La cosiddetta “fase 2” deve iniziare con un drastico cambio di passo di cui la giustizia necessita da anni, quella stessa giustizia che, a prescindere da qualsivoglia svolta digitale, sta resistendo all’emergenza con un personale insufficiente e che, senza le opportune assunzioni, non potrà reggere ancora a lungo.