L’immunoterapia con pembrolizumab dà risultati in uno studio di fase 2 che ha coinvolto pazienti con tumori rari in stadio avanzato
L’immunoterapia con pembrolizumab ha mostrato un’attività antitumorale incoraggiante e un profilo di tossicità favorevole in uno studio di fase 2 che ha coinvolto pazienti con tumori rari in stadio avanzato. I risultati del lavoro, pubblicato da poco sul Journal for ImmunoTherapy of Cancer, pongono le basi per un’ulteriore valutazione del farmaco in queste popolazioni di pazienti.
L’anticorpo monoclonale pembrolizumab, un inibitore del checkpoint immunitario PD1, è stato valutato in pazienti affetti da carcinoma cutaneo a cellule squamose (SCC), carcinoma adrenocorticale (ACC), carcinoma di origine primaria sconosciuta (CUP) o paraganglioma-feocromocitoma.
«Studi come questo sull’immunoterapia sono fondamentali, perché nel 2017 i tumori rari hanno rappresentato complessivamente il 13% di tutte le nuove diagnosi di cancro e il 25% di tutti i decessi correlati al cancro negli adulti» ha affermato in una nota il primo firmatario del lavoro, Aung Naing, dell’MD Anderson Cancer Center della Texas University di Houston. «Il tasso di sopravvivenza a 5 anni per questi tumori è inferiore del 15-20% rispetto a quello dei tumori più comuni. Gli scarsi risultati ottenuti finora nei tumori rari sono stati attribuiti a difficoltà o ritardo nella diagnosi, accesso limitato a centri che abbiano un’esperienza adeguata, come è l’MD Anderson, e scarsità di opzioni terapeutiche».
In questa coorte di individui trattati tra il 15 agosto 2016 e il 27 luglio 2018, pazienti i cui tumori erano progrediti con le terapie standard nei precedenti 6 mesi sono stati arruolati in 9 coorti, ciascuna con uno specifico tumore, e in una decima coorte, formata da un gruppo di pazienti con tumori con varie istologie rare. Complessivamente, 127 pazienti sono stati trattati con pembrolizumab 200 mg per via endovenosa ogni 21 giorni.
L’endpoint primario era il tasso di non progressione (NPR) a 27 settimane, mentre gli endpoint secondari includevano sicurezza e tollerabilità, tasso di risposta obiettiva (ORR) e tasso di beneficio clinico (CBR).
Al momento del cut-off dei dati, l’NPR a 27 settimane era del 28% (IC al 95%, 19-37). È stata osservata una risposta obiettiva confermata in 15 pazienti sui 110 pazienti valutabili (14%), di cui uno ha ottenuto una risposta completa e 14 una risposta parziale. Il CBR, definito come la percentuale di pazienti che hanno mostrato una risposta obiettiva o una stabilizzazione della malattia per almeno 4 mesi, è risultato del 38% (42 pazienti).
All’ultimo follow-up, 11 dei 15 pazienti che hanno ottenuto una risposta obiettiva erano ancora in trattamento con immunoterapia. Nella coorte di pazienti con SCC, l’NPR a 27 settimane è risultato del 36%, mentre l’ORR del 31% e il CBR del 38%; nei pazienti con ACC, i tassi corrispondenti sono risultati rispettivamente del 31%, 15% e 54%, nei pazienti con CUP rispettivamente del 33%, 23% e 54% e nei pazienti con paraganglioma-feocromocitoma rispettivamente del 43%, 0% e 75%.
Eventi avversi correlati al trattamento si sono verificati in 66 pazienti su 127 (52%) e 12 di essi (9%) hanno sviluppato un evento avverso di grado ≥3. Gli eventi avversi correlati al trattamento osservati con maggiore frequenza sono stati affaticamento (in 25 pazienti) e rash cutaneo (in 17 pazienti).
In totale, sono stati registrati sei decessi, tutti non correlati al farmaco in studio.
Il profilo di sicurezza di pembrolizumab in queste popolazioni di pazienti è risultato nel complesso coerente con quello riportato precedentemente in altri tumori comuni, come il melanoma e il carcinoma polmonare non a piccole cellule.
«I risultati del nostro studio pongono le basi per ulteriori studi volti a confermare l’attività clinica di pembrolizumab nei tumori rari avanzati e per identificare le firme immunitarie predittive della risposta al trattamento» ha affermato Naing.
Tuttavia, date le dimensioni ridotte del campione delle singole coorti, non è stato possibile fare inferenze applicabili a tutti i tumori rari. Inoltre, la sede dalla quale è stato ottenuto il tessuto (tumore primitivo vs metastatico) per la valutazione dei biomarcatori potrebbe aver influenzato i livelli dei marker immunitari e le differenze nell’attività antitumorale osservate tra i diversi tipi di cancro sono probabilmente un riflesso di differenze a livello del microambiente tumorale.
«Data la prognosi sfavorevole associata alla mancanza di opzioni terapeutiche basate sull’evidenza per molti di questi tipi di tumore, abbiamo scelto di riportare i risultati dell’analisi intermedia per informare la comunità scientifica» hanno scritto gli autori, aggiungendo che, trattandosi di tumori rari, il tempo che servirà per arrivare a poter fare l’analisi finale dei dati potrebbe essere lungo.