Un regime giornaliero di aspirina a basso dosaggio non ha alcun impatto sulla prevenzione del lieve decadimento cognitivo e dell’Alzheimer secondo un nuovo studio
Un regime giornaliero di aspirina a basso dosaggio non ha alcun impatto sulla prevenzione del lieve decadimento cognitivo (MCI), del declino cognitivo o della demenza. È quanto dimostrano i risultati di un ampio studio randomizzato i cui risultati sono stati pubblicati online su “Neurology”.
I ricercatori – guidati da Joanne Ryan, del National Health and Medical Research Council (NHMRC) e della School of Public Health and Preventive Medicine presso la Monash University di Melbourne, in Australia – hanno scoperto che nell’arco di 5 anni, i tassi di incidenza di demenza negli adulti che assumevano giornalmente aspirina a basse dosi erano quasi identici a quelli che assumevano un placebo.
«I nostri risultati suggeriscono che l’aspirina non dovrebbe essere prescritta esclusivamente sulla base di potenziali benefici cognitivi, in quanto non ci sono prove che lo suggeriscono, né che l’aspirina a basso dosaggio possa ridurre il rischio di malattia di Alzheimer (AD)» scrivono gli autori.
Che cosa inducevano a pensare i risultati degli studi precedenti?
Il gruppo di Ryan ha testato l’ipotesi che le proprietà antinfiammatorie dell’aspirina potessero aiutare a ritardare o prevenire l’insorgenza di MCI, demenza o AD. «I risultati di alcuni studi osservazionali precedenti indicavano che l’uso dell’aspirina era associato a un minor rischio di demenza. Tuttavia, i risultati di tali studi devono essere considerati con cautela, poiché molti altri fattori potrebbero aiutare a spiegare l’associazione» osservano Ryan e colleghi.
La risposta definitive da un follow-up del trial ASPREE
Per una risposta più definitiva, i ricercatori hanno condotto un ampio studio randomizzato controllato con placebo come follow-up dello studio ASPREE (Aspirin in Reducing Events in the Elderly) del 2018, di cui Ryan era coinvestigatrice.
Lo studio ASPREE aveva dimostrato che l’aspirina giornaliera a basso dosaggio non prolungava la sopravvivenza libera da disabilità negli anziani, ma aumentava il rischio di emorragia maggiore rispetto al placebo. La sopravvivenza libera da disabilità includeva morte per tutte le cause, demenza o disabilità fisica.
Lo studio ha incluso 19.114 adulti sani di età compresa tra 65 e 98 anni che sono stati randomizzati a ricevere aspirina con rivestimento enterico da 100 mg al giorno (n = 9.525) o placebo (n = 9.589). I partecipanti erano privi di demenza al momento dell’iscrizione allo studio e sono stati seguiti per una media di 4,7 anni. Alla conclusione dello studio, 488 partecipanti nel gruppo aspirina e 476 nel gruppo placebo hanno soddisfatto i criteri per sospetta demenza (hazard ratio [HR: 1,03; IC al 95%, 0,91 – 1,17).
Un’ulteriore valutazione cognitiva mediante auto-rapporti basati sul Modified Mini-Mental State relativo a problemi di memoria, diagnosi cliniche di demenza o prescrizioni perdi inibitori della colinesterasi ha mostrato che non vi era alcuna differenza tra i due gruppi.
La cognizione globale o i domini di specifici domini cognitivi come la memoria, la velocità psicomotoria, il linguaggio e la funzione esecutiva non differivano significativamente tra i gruppi. Inoltre, fattori quali l’età, il genere, l’etnia, i fattori di salute o il precedente uso di FANS non hanno determinato una differenza significativa.
Un risultato nullo, Deluse le aspettative dei ricercatori
Un totale di 389 partecipanti hanno sviluppato MCI. I tassi di MCI erano simili tra i due gruppi di studio. Inoltre, 1.654 partecipanti hanno sviluppato declino cognitivo. La percentuale era di 26,5 per 1.000 persone/anno nel gruppo aspirina rispetto a 25,6 per 1.000 persone/anno nel gruppo placebo (HR 1,04; IC al 95% 0,94 – 1,14).
«Ci sono stati piccoli cambiamenti nella funzione cognitiva nel tempo, ma non c’erano prove che la traiettoria media differisse tra i gruppi aspirina e placebo» osservano i ricercatori. I risultati nulli non hanno soddisfatto le aspettative dei ricercatori.
«Dato che l’infiammazione svolge un ruolo importante nel PD, speravamo che l’aspirina a basso dosaggio potesse essere utile nel ridurre il rischio» ammettono Ryan e colleghi. Tuttavia, il follow-up relativamente breve costituisce una potenziale limite dello studio, aggiungono.
«Poiché la demenza può richiedere anni per svilupparsi, è possibile che ASPREE non sia stato uno studio abbastanza lungo per mostrare i possibili benefici dell’aspirina» proseguono gli autori. «Quindi continueremo a seguire questi partecipanti e indagheremo su eventuali effetti a lungo termine dell’aspirina nei prossimi anni».
l gruppo ha anche in programma di studiare nuove opzioni di intervento precoce per ridurre il rischio di demenza o ritardarne l’insorgenza. Altre strade sono attualmente in fase di studio, come l’impatto di includere interventi di riduzione dello stress e statine nell’ambito del trial in corso STAREE (Statin Therapy for Reducing Events in the Elderly).
Dubbi interpretativi e possibili fattori confondenti
In un editoriale di accompagnamento , David S. Knopman e Ronald C. Petersen, del Mayo Clinic Department of Neurology a Rochester, Minnesota, notano che i risultati dello studio sono «in linea con le conclusioni del rapporto principale di ASPREE nel quale nessun beneficio si è prodotto nel composito di morte, demenza o disabilità fisica persistente. La presente relazione esplora i risultati cognitivi in modo più dettagliato e offre approfondimenti che potrebbero essere utili per futuri studi di prevenzione».
Con oltre 19.000 partecipanti analizzati in quasi 5 anni, «l’incapacità di rilevare benefici in ASPREE significa che un effetto clinico dell’aspirina sulla cognizione deve essere molto piccolo se tali benefici esistono» scrivono gli editorialisti. Come i ricercatori, si sono chiesti se fosse necessario un periodo di follow-up più lungo. Un’altra domanda senza risposta è se i rischi sensibili all’aspirina iniziano prima, forse nella mezza età.
Inoltre, «poiché le conseguenze favorevoli dell’aspirina sono state osservate principalmente negli individui con malattia cardiovascolare sintomatica o malattia cerebrovascolare, forse è stato il basso carico di patologia nei partecipanti asintomatici ASPREE che ha portato al risultato nullo con l’aspirina».
Knopman e Petersen notano che «avrebbero preferito di gran lunga vedere i benefici dell’aspirina, ma i risultati della sperimentazione ASPREE hanno comunque un significato per la salute pubblica in quanto possiamo concludere che la terapia con aspirina non offre effetti protettivi per cognizione, malattie cardiovascolari, disabilità o morte in età avanzata» concludono.