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In Congo il virus Ebola non è ancora sconfitto

La Repubblica democratica del Congo ha dichiarato la conclusione della dodicesima epidemia di Ebola. Il vaccino ha limitato i contagi

In Congo il virus Ebola non è ancora sconfitto. Ghosn (Croce Rossa): “Il nuovo caso non ci ferma ma dobbiamo prepararci anche all’epidemia di Covid-19”

“La scoperta di un nuovo caso di ebola nel nord-est del Congo è una pessima notizia. Dopo mesi di duro lavoro, non solo ebola non è sconfitta ma dobbiamo prepararci anche all’epidemia di Covid-19. La delusione è grande, ma ora più che mai dobbiamo fare appello a tutte le nostre energie e continuare a sostenere le popolazioni locali, che in queste regioni del Congo hanno già sofferto tanto. Ho piena fiducia nella mobilitazione dei volontari della Croce Rossa, che sono già tornati all’opera: nessuno sarà lasciato solo”.

Così Robert Ghosn, responsabile delle Operazioni ebola per la Federazione internazionale della Croce Rossa (Ifrc) in Repubblica Democratica del Congo. La chiamata da Goma con l’agenzia Dire (www.dire.it) arriva in un momento di sconforto per gli operatori umanitari che in Nord Kivu lottano contro ebola da agosto 2018, quando il governo proclamò l’epidemia. Domenica scorsa tuttavia, dopo 20 mesi di lavoro e oltre 2.200 morti, le autorità avrebbero dovuto dichiarare la fine dell’emergenza epidemica, essendo trascorsi 42 giorni dall’ultimo contagio. Un nuovo caso positivo invece è stato annunciato da pochi giorni.

“E’ una delusione – continua Ghosn – ma anche se fosse stata ufficializzata la fine dell’epidemia, avremmo comunque continuato a tenere alta la guardia. Ora poi c’è bisogno di scongiurare il coronavirus perché una doppia epidemia sarebbe una catastrofe che né il Congo né il resto del mondo possono permettersi“.

Per far fronte a questa allerta, la Croce Rossa gestisce centri sanitari, monitora il modo in cui vengono trattati i corpi delle vittime di ebola, estremamente contagiosi, e segue i sopravvissuti al virus perché, spiega Ghosn, “è fondamentale evitare i contagi di ritorno”. Tutte attività parte della strategia che la Croce Rossa sta mettendo in campo attraverso “migliaia di uomini e donne volontarie formate da noi”, dice il responsabile. Convinto che è grazie al personale locale se è stata portata a termine un’altra componente cruciale del programma, “la sensibilizzazione delle comunità”.

Ebola, come prosegue il responsabile, “ci ha insegnato che le indicazioni o le restrizioni che giungono dall’alto, ossia dal governo o dagli esperti di salute pubblica, per quanto giuste, vengono accettate con fatica dalla popolazione. C’è bisogno di spiegazioni ma, soprattutto, di ascoltare i timori, i dubbi e i problemi che quelle misure creano nella vita delle persone“.

Ai volontari che in 20 mesi hanno informato tre milioni di residenti, secondo l’operatore di Croce Rossa, “alcuni hanno confessato di non credere nell’esistenza di ebola e così abbiamo organizzato incontri coi sopravvissuti o visite nei centri di cura”. Altri, dice Ghosn, “sospettavano che dietro ebola ci fosse un business, così gli abbiamo mostrato i bilanci”. Altri ancora invece hanno lamentato le limitazioni alla libertà di movimento, “necessaria soprattutto alle persone più povere per lavorare”, oppure la mancanza d’acqua per lavare le mani, “e abbiamo provveduto a fornirla”.
Ogni messaggio o modalità comunicativa insomma è stata riadattata in base alle domande o ai bisogni provenienti dalla popolazione.
Secondo Ghosn, però, la limitazione più dura da accettare “è stato il divieto assoluto di toccare i malati. Pensate a cosa vuol dire per un padre, una madre, un fratello o una nipote non poter stare accanto alla persona cara”. Sentimenti che si intrecciano anche con credenze religiose e tradizioni “molto importanti per la gente. Non era facile. Eppure, alla fine, dopo un lungo lavoro di informazione, le persone hanno capito l’importanza di rinunciarci per salvaguardare la salute della comunità”.

Ghosn riconosce dunque la forza dei volontari ma anche dei cittadini che hanno contribuito a sconfiggere il virus. “Un’epidemia non si batte solo coi farmaci e i centri medici, ma soprattutto con la collaborazione tra le persone” dice il responsabile. “Anche l’Europa con il coronavirus sta affrontando questa sfida”.

Nel nord-est del Congo, già afflitto dalla povertà e dalle violenze delle milizie armate, ebola ha finito per fiaccare ancora di più le comunità locali, e la preoccupazione per il Covid-19 ora è forte. “Come le attività contro ebola non si fermano al contempo i volontari hanno raddoppiato il proprio impegno per fermare il coronavirus” assicura Ghosn, che conclude: “Dopo 20 mesi di lavoro non siamo ancora riusciti a prenderci neanche un giorno di pausa”.

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