Matteo Cecchi racconta la storia comica della cucina toscana nel volume Lo Strippapelle pubblicato da Sarnus nella collana «Toscani super DOC»
“Oh che musica galante fanno gli spiedoni, quando son pien di tordi, salcicce o capponi!” scriveva Piero Aretino, poeta ribelle, cantore della lussuria e cultore della buona tavola. Nelle sue opere, come in quelle di Boccaccio o di Cecco Angiolieri, appare chiaro il nesso tra comicità e gastronomia, un legame antico a cui lo scrittore fiorentino Matteo Cecchi ha dedicato oggi un libro: intitolato Lo strippapelle. Storia comica della cucina toscana (pp. 120, euro 15), è pubblicato da Sarnus nella collana «Toscani super DOC».
Mangiare “a strippapelle” significa ingozzarsi, abbuffarsi fino alla sazietà e magari oltre. I grandi banchetti, con tutti i peccati di gola connessi, hanno un posto d’onore nella letteratura di ogni tempo, specialmente in quella ‘leggera’ o giocosa che in Toscana ha avuto esempi di grande valore.
L’autore Matteo Cecchi li ricorda tutti, senza trascurare citazioni e aneddoti, in una galleria che comprende il Burchiello e il Pievano Arlotto, Carlo Collodi, Giulio Piccini (in arte Jarro) e Renato Fucini, ma anche Benigni, Pieraccioni e i celebri burloni protagonisti di Amici miei. Pagina dopo pagina, si succedono prose facete e poesie farsesche, storie di pappe leggendarie e di eroici pappatori, di tavernieri e ubriaconi, di sbornie, scorpacciate, del Bengodi e di Cuccagna, di epiche abbuffate e di ghiottoni da Guinness, di banchetti medievali e conviti medicei, di papi gaudenti e impenitenti crapuloni. Buongustai più o meno famosi, uomini che, come tutti i toscani (forse non proprio tutti) hanno un sogno segreto, e ce lo rivela Girolamo Bargagli nella sua Pellegrina commedia: “stare a tavola almeno quanto si sta a letto: e così partir la vita; la metà in mangiare, e l’altra metà in dormire”.