Un Cornetto di elettroni nell’ammasso Abell 2249: la scoperta è di un gruppo internazionale di astrofisici guidati dall’Italia
C’è un giovane studente di dottorato dell’Università di Bologna (che collabora anche con l’Istituto nazionale di astrofisica) alla testa di un gruppo internazionale di astronomi che ha scoperto, nell’ammasso di galassie Abell 2249, uno degli shock intergalattici più estesi ed elusivi mai osservati nel cielo fino ad oggi. Gli esperti guidati da Nicola Locatelli lo hanno chiamato “Cornetto Relic”, il che rievoca la sua forma a mezzaluna. Locatelli sta prendendo parte al progetto MagCoW finanziato con i fondi europei Horizon 2020 per lo studio dei campi magnetici nelle regioni più vaste e rarefatte dell’universo. I dati che hanno portato a questo risultato sono stati ottenuti durante una survey realizzata con il potente telescopio europeo Low Frequency Array (Lofar), la più estesa rete per osservazioni radioastronomiche in bassa frequenza al mondo attualmente operativa. Lo studio è stato accettato sulla rivista Mnras Letters.
Abell 2249 è un agglomerato di centinaia di galassie immerse in una “bolla” di decine di milioni di anni luce di gas rarefatto e caldissimo, costituito da protoni ed elettroni non legati tra di loro (cioè dal cosiddetto plasma). Come in altri grossi ammassi dell’universo, il gas può essere talvolta solcato da gigantesche onde, sollevate ogni qual volta ammassi più piccoli si imbattono nel maggiore venendone attratti dalla forza di gravità. Quando le onde generate dallo scontro viaggiano più veloci della velocità del suono del plasma (cioè a diverse migliaia di chilometri al secondo) formano degli shock, ovvero delle onde d’urto. Ciò che le rende particolari è il fatto che molti elettroni liberi del gas vengono accelerati fin quasi alla velocità della luce e che, grazie alla presenza di campi magnetici, emettono onde radio che possono essere catturate dai radiotelescopi sulla Terra.
In queste circostanze, uno shock intergalattico diventa un “relitto radio”, uno dei fenomeni complessivamente più potenti dell’Universo. In Abell 2249 non era però ancora nota l’esistenza di alcun relitto radio, nonostante questo ammasso fosse un candidato ideale per ospitarne uno. E proprio grazie a Lofar è stato possibile scoprirlo e studiarlo.
«L’accelerazione di elettroni da parte di onde d’urto astrofisiche è nota da decenni, a partire dallo studio dei resti di supernova, ed è spiegata da un meccanismo proposto per la prima volta da Enrico Fermi nel 1949», ricorda Franco Vazza, principal investigator del progetto MagCoW finanziato da Horizon 2020, nonché ricercatore all’Università di Bologna e associato Inaf, «tuttavia, nel caso degli shock negli ammassi di galassie, un grosso problema energetico dà sempre filo da torcere agli astronomi: la potenza osservata in praticamente tutti i relitti radio è così elevata da richiedere che qualche ulteriore meccanismo, tuttora ignoto, abbia operato prima del passaggio dello shock, per pre-riscaldare gli elettroni, come nei warm-up sportivi».
L’evocativo nome “Cornetto” è stato scelto perché è uno delle forme mancanti nel censimento di questi grandiosi oggetti astrofisici: il Cornetto Relic promette di essere il prototipo di una classe di giganteschi relitti radio fin qui passati inosservati da parte di tutti i telescopi radio, per motivi di sensibilità, che invece il Lofar potrebbe aver iniziato a scoprire con regolarità.
Il primo autore dello studio, Locatelli, spiega: «La novità introdotta da questo lavoro è che il Cornetto Relic emette tutta la sua enorme potenza a partire da un’area abbastanza estesa nel cielo (circa mezza Luna) da apparire debole alle nostre antenne, ed essere in compenso facilmente spiegabile dal classico meccanismo à-la Fermi, senza richiedere nessun ingrediente aggiuntivo. La “forza” del Cornetto starebbe quindi ironicamente nella sua “debolezza”».
Proprio legandosi a questo concetto, Gianfranco Brunetti dell’Inaf di Bologna, coordinatore del consorzio italiano Lofar, precisa: «Il punto è capire quanto comuni siano questi relitti di bassa brillanza, in tal senso Lofar apre una finestra di osservazione nuova che ci permette di testare i meccanismi di accelerazione di particelle negli ammassi. Il nostro studio ha permesso di porre vincoli molto più stringenti che in passato sui parametri fisici del relitto e sull’efficienza di accelerazione delle particelle».
Lofar è un potente strumento di ultima generazione costituito dall’insieme di 25 mila antenne raggruppate in 51 stazioni radio sparse per mezza Europa, frutto di una grande collaborazione. Ricordiamo che l’Inaf guida un consorzio nazionale e dal 2018 al 2022 ha pianificato di investire in Lofar circa 2,5 milioni di euro partecipando con il suo personale anche allo sviluppo della nuova generazione di dispositivi elettronici allo stato dell’arte che equipaggeranno il radiotelescopio e al software che regola il funzionamento del telescopio. Lofar è concepito per catturare le onde radio alle frequenze più basse captabili da Terra, 10-240 MHz (mega-Hertz). L’emissione radio prodotta dai relitti, non a caso, è tipicamente molto più intensa alle basse frequenze (poche centinaia di MHz), ovvero quelle per le quali Lofar è stato progettato.
La studio di oggetti come il Cornetto richiede un notevole tempo di utilizzo dei telescopi e di calcolo, ed è necessario l’impiego di grandi team per l’analisi dei dati. Le antenne di Lofar producono un’immensa quantità di dati e in questo caso l’elaborazione e l’analisi è stata eseguita utilizzando i nodi di calcolo italiani.
Con questo studio, gli autori sono convinti di aver dimostrato che l’accelerazione da shock “classica” possa operare efficacemente anche sull’enorme scala dei milioni di anni luce tra le galassie, e che sia questa in effetti la prima volta che possiamo osservare direttamente questo fenomeno, mentre accade.
Per saperne di più:
- L’articolo “Discovering the most elusive radio relic in the sky: Diffuse Shock Acceleration caught in the act?” di Nicola T. Locatelli (Università di Bologna, Inaf– Istituto di radioastronomia) et al. è stato accettato per la pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society Letters. Allo studio hanno contribuito anche K. Rajpurohit, D. Dallacasa, A. Bonafede, C. Stuardi ed E. Bonassieux (per l’Università di Bologna, tutti finanziati dal progetto Horizon 2020 Dranoel), F. Gastaldello e M. Rossetti dello Iasf di Milano.