Il caso Ellington Club, appena aperto e già a rischio chiusura: parte una raccolta fondi per non far calare il sipario in maniera definitiva
Dopo aver calcato alcuni importanti palcoscenici, come lo storico Salone Margherita, contribuendo a creare un genere di intrattenimento che guarda all’avanspettacolo d’autore, la coppia Alessandro Casella e Vera Dragone, insieme sul palco come nella vita, investe tutti i propri sforzi economici in un locale che vede la luce lo scorso Novembre 2019. È la storia dell’Ellington Club, locale di 220 metri quadri, di cui 35 sono destinati a un grande palco dallo spirito internazionale, che in ogni sera dalla sua inaugurazione ha ospitato decine di performer e musicisti, promuovendo la cultura e la bellezza di generi immortali come il jazz, il vaudeville e il cabaret. Un luogo appena aperto e già a rischio chiusura, stretto nella morsa di una crisi senza precedenti e soprattutto, non prevedibile per nessuno.
Sin dalla sua recente apertura, il locale che ha animato il quartiere Pigneto a Roma, ha concretizzato il sogno di una “casa” dedicata allo “spettacolo dal vivo”, dove hanno trovato posto operatori di un settore che sembra sempre più invisibile agli occhi dello Stato. Questo appare dai tanti decreti varati per arginare l’emergenza Covid-19, che continuano ad ignorare le migliaia di artisti che vivono il mondo sospeso tra teatro e TV, di cui molti non possono neanche accedere al sostegno “Cura Italia”. Senza un palco come quello dell’Ellington e di tanti altri luoghi che vivono solo di spettacolo dal vivo, il futuro già precario di professionisti alle cui spalle ci sono intere famiglie, risulta ancora più incerto.
Travolti dall’emergenza Coronavirus a poco più di tre mesi dall’apertura, il club appena inaugurato è già prossimo alla chiusura. L’inevitabile e drammatica conseguenza è dovuta all’incertezza lavorativa del momento, uno stato emotivo amplificato per i gestori, che risentono dell’abbandono da parte dello Stato, a cui regolarmente hanno riconosciuto il loro contributo. A raccontarlo con un post-sfogo su Facebook, è l’attrice e proprietaria Vera Dragone. «Ad oggi per noi è impossibile immaginare una riapertura – scrive la performer parlando alla comunità artistica e rivolgendosi nel contempo al governo – Le spese continuano ad esserci e si sommano ai sospesi fatti per avviare l’attività. Non siamo un ristorante né un bar, non possiamo vendere i nostri spettacoli a domicilio. Noi produciamo intrattenimento, siamo imprenditori di un settore che viene ignorato e per questo siamo destinati a soccombere». Le parole di Vera hanno trovato la condivisione in rete di centinaia di colleghi, che guardano all’Ellington come al simbolo di una crisi di settore di cui fanno parte migliaia di operatori e artisti al momento dimenticati. «Chiedere aiuto non fa piacere. Ci abbiamo provato e creduto fino alla fine, ma oggi dobbiamo arrenderci all’evidenza. Il nostro sogno, che è quello di tanti, sta svanendo velocemente. Ci sentiamo impotenti», aggiunge Alessandro Casella, veterano dell’intrattenimento retrò. «In tanti ci hanno scritto spronandoci a lanciare un crowdfunding, per dare un messaggio di speranza, affinché un luogo come il nostro che vive solo di spettacolo, non chiuda sotto il peso della crisi», conclude Casella.
In queste ore è partito il tam-tam online, con la condivisione del link destinato alla raccolta fondi ( gf.me/u/xyuzj9 ), il cui traguardo non è facile. Per rialzare la saracinesca e continuare a sperare, è necessario raccogliere 50.000€, somma destinata in prima battuta a maestranze e artisti che non hanno ricevuto gli ultimi stipendi. A questo si aggiungono i costi per la sanificazione e la messa a norma, secondo quelle che saranno le regole di riapertura (fortemente attese da tanti esponenti del settore). Infine ci sono le mensilità d’affitto, da riconoscere ai proprietari delle mura nonostante la mancata attività del club. L’invito a donare anche solo pochi euro, per far sì che le luci della ribalta continuino a brillare, è rivolto a tutti. Perché quando un palco si spegne sono in tanti a morire e la prima a lasciarci, tra tutti, è la cultura.
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