Policlinico di Germaneto: 7 ore per salvare una vita. L’equipe del professor Michele Ammendola a capo di chirurgia dell’apparato digerente del Policlinico di Germaneto, fa rinascere la speranza verso il flop della sanità calabrese
Giuseppe Aloe veniva dal Nord, dove si recitava il rito verso la speranza del mito dell’eccellenza sanitaria. E dove c’era la tendenza di migrare per assicurarsi “l’immortalità”. Trasferitosi dal 2003 a Nardo di Pace nella provincia vibonese suo paese di origine. Ma la mobilità sanitaria nei tempi del regionalismo diverso, dimostra che il denaro scorre prevalentemente da Sud a Nord, ma che l’88% del saldo in attivo nutre le casse delle solite sorellastre.
E’ il dramma della migrazione sanitaria con l’aspettativa di trovare una sanità efficiente. Insomma, si scappa dal meridione per trovarsi di fronte professionisti meridionali, che rivestono posti di rilievo medico-scientifico. Paradosso? No! Ingiustizia !Mentre il nord prosperava e sguazzava in sprechi e corruzione alla faccia della buona sanità, quelle regioni con saldo negativo maggiore di € 100 milioni, tutte del Sud. La Calabria, -€ 281,1 milioni.
Oggi, la Calabria si sta prendendo una rivincita, può accedere a risultati di buona sanità.
Ne è l’esempio soprattutto in campo chirurgico, della struttura di Germaneto in provincia di Catanzaro, Policlinico d’eccellenza di cui si parla poco. Giuseppe, qui, dopo i vari viaggi al Nord, è stato sottoposto a un intervento di splenectomia e asportazione di voluminosa cavità ascessualizzata infiltrante di organi contigui. Il diaframma di sinistra e il lobo polmonare inferiore di sinistra. 7 ore d’intervento condotto da due professori: Michele Ammendola e Giuseppe Currò. Più volte rinviato da altre strutture sanitarie e un netto no, in un ospedale calabrese.
Un altro salvataggio quindi, del Policlinico di Germaneto. Quando arrivò nel reparto di chirurgia, era consapevole di essere approdato sulla sua ultima spiaggia. Un ammalato che da otto anni aveva episodi di endocardite ricorrenti. Ma anche portatore di una valvola aortica meccanica e infarti splenici plurimi. Insomma, la situazione era al culmine della speranza ma “la fede non si abbandona tra lo sconforto”, per Giuseppe fervido credente.
Trenta giorni nel reparto di chirurgia e 7 ore per salvare una vita umana
Giuseppe è appena andato via, è il 19 marzo, da quella camera del reparto di chirurgia, dove era entrato con la morte addosso. Dopo trenta giorni ne è uscito con la coroncina in mano. Accompagnato dal fratello Antonio. E un pensiero fisso: accendere un lumino ai piedi del suo beato patrono, Santo Ilario, protettore del suo paese. Ma continua a ringraziare senza sosta anche l’uomo che con ottimismo lo tranquillizzò sull’intervento. E si guadagnò la sua fiducia, “il Purosangue” lo chiama: il suo salvatore, professor Ammendola. “non ho mai trovato un’umanità così cordiale, come lui”, dice Giuseppe. Invitando i calabresi a non migrare per curarsi: “ in Calabria abbiamo bravi medici e paramedici che ti coccolano e sono professionali”. Sentire la vicinanza del medico con elevate doti di umanità accanto a chi soffre, è ciò che desidera un malato. Perché a volte è importante curare il malato e non la malattia, questo sembra essere il motto del chirurgo.
Apprezzamenti al Magnifico Rettore Giovambattista De Santo per la gestione del suo entourage specialistico che garantiscono servizi sempre all’avanguardia. Intanto, i successi dell’equipe del professor Ammendola ridanno speranza a chi crede ancora del diritto alla salute.