Una sottile pellicola di materiale organico che può trasformarsi in un potente rivelatore di raggi X è stata scoperta da ricercatori dell’Università di Bologna e dell’INFN
Una sottile pellicola di materiale organico che può trasformarsi in un potente rivelatore di raggi X. Un gruppo di ricerca coordinato da studiosi dell’Università di Bologna e dell’INFN-Bologna ha individuato alcune caratteristiche grazie alle quali è possibile massimizzare le capacità di questa tecnologia. Lo studio – pubblicato su Nature Communications – apre la strada all’utilizzo di questi strumenti innovativi su diversi fronti: dalla diagnostica medica alla sicurezza pubblica, dalle applicazioni spaziali alla preservazione del patrimonio culturale e al monitoraggio ambientale.
“I risultati che abbiamo ottenuto – dice la professoressa Beatrice Fraboni, che ha coordinato lo studio – costituiscono un passo cruciale nella comprensione dei parametri e dei processi fisici che controllano la rivelazione di raggi X da parte di semiconduttori organici a film sottile (poche centinaia di nanometri): una conoscenza fondamentale per l’implementazione efficace di rivelatori di radiazione ionizzante basati su tali materiali per applicazioni della vita reale”.
Essendo in grado di alterare la struttura delle molecole e degli atomi, i raggi X possono rivelarsi particolarmente pericolosi sia per la salute umana che per il funzionamento di strumenti e dispositivi elettronici. Per questo è molto importante avere la possibilità di monitorare e tenere sotto controllo la presenza di questo tipo di radiazioni, in particolare in contesti come strutture mediche per radioterapia, missioni spaziali, gestione delle scorie nucleari, esperimenti di fisica delle alte energie.
Con questo obiettivo, da alcuni anni è stata dimostrata la possibilità di creare sistemi di rivelazione dei raggi X che utilizzano semiconduttori organici. Si tratta di dispositivi che offrono diversi vantaggi – coprono grandi aree, sono leggeri, economici, flessibili – e che quindi potrebbero arrivare a superare i limiti oggi imposti dai tradizionali rilevatori di raggi X, i quali utilizzano invece semiconduttori inorganici (ad esempio silicio e selenio, ma anche diamante).
Nonostante però siano stati fatti importanti passi avanti per migliorare le prestazioni di questi semiconduttori organici, sono ancora pochi gli studi che hanno esplorato i processi fisici alla base del loro funzionamento e quindi la possibilità di controllarne le prestazioni. Proprio su questo aspetto si è concentrato il gruppo di ricerca dell’Università di Bologna e dell’INFN-Bologna, che grazie alla sua analisi è riuscito ad individuare alcuni meccanismi per massimizzare la capacità di rivelazione di raggi X di questi dispositivi.
“Le conclusioni del nostro lavoro mostrano come sia possibile migliorare sia il limite di rivelazione che la sensibilità di questi innovativi rivelatori di raggi X basati su semiconduttori organici”, spiega la professoressa Fraboni. “Potendo controllare entrambi questi fattori siamo riusciti a raggiungere un valore record di sensibilità e un ottimo valore di minimo rateo della dose rivelabile”.
Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications con il titolo “Morphology and mobility as tools to control and unprecedentedly enhance X-ray sensitivity in organic thin-film devices”. Il lavoro è stato sviluppato dal gruppo di ricerca coordinato dalla professoressa Beatrice Fraboni del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna e dell’INFN-Bologna, costituito da Laura Basiricò, Andra Ciavatti e Ilaria Fratelli, in collaborazione con il gruppo spagnolo della dottoressa Marta Mas-Torrent, dell’Institut de Ciència de Materials de Barcelona (ICMAB-CSIC).