Nel 2019, in Italia, sono stati stimati 5.700 nuovi casi (3.000 uomini e 2.700 donne) di mieloma multiplo, un tumore del sangue che ha origine nel midollo osseo
Nel 2019, in Italia, sono stati stimati 5.700 nuovi casi (3.000 uomini e 2.700 donne) di mieloma multiplo, un tumore del sangue che ha origine nel midollo osseo. Circa il 25% delle diagnosi è scoperto “per caso”, cioè in seguito a esami effettuati per altri motivi. È una malattia tipica dell’anziano e in costante crescita, per il progressivo invecchiamento della popolazione: in 5 anni, infatti, i casi nel nostro Paese sono aumentati del 9% (erano 5.200 nel 2014). Oltre il 90% dei pazienti va incontro a recidiva e oggi per questi malati fortemente pretrattati si aprono importanti prospettive grazie alla terapia cellulare con una nuova CAR T, ide-cel (idecabtagene vicleucel). I risultati dello studio di fase 2 KarMMa, che ha coinvolto 128 pazienti trattati con ide-cel e già esposti ad almeno tre precedenti terapie, sono stati presentati al congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO).
“È il primo studio di fase 2 con cellule CAR T (T linfociti esprimenti un recettore chimerico per l’antigene, CAR) disegnato e condotto per la terapia del mieloma multiplo refrattario – afferma il prof. Michele Cavo, Direttore dell’Istituto di Ematologia ‘L. A. Seràgnoli’, Università degli Studi – Policlinico S. Orsola-Malpighi Bologna -. Nello studio KarMMa, i pazienti arruolati avevano già ricevuto una mediana di 6 precedenti regimi di trattamento: l’84% era refrattario a tutte le tre classi di nuovi farmaci comunemente in uso, che includono gli agenti immunomodulanti, gli inibitori del proteasoma e l’anticorpo monoclonale anti-CD38, e il 94% era refrattario ad una precedente terapia con l’anticorpo monoclonale anti-CD38. La durata mediana del follow-up è stata di 13,3 mesi. Il tasso di risposta globale è risultato del 73% per tutti i pazienti trattati con 3 diverse dosi di cellule CAR-T, incluso il 33% dei pazienti che hanno ottenuto una risposta completa (CR) o una risposta completa stringente (sCR), ed è stato più elevato (82% di risposta globale e 39% di CR + sCR) nei pazienti che hanno ricevuto la dose ottimale di cellule pari a 450.000.000. La sopravvivenza mediana libera da progressione (PFS) di malattia è stata pari a 8,8 mesi nell’intera popolazione di pazienti ed a 20,2 mesi nei pazienti che hanno raggiunto una risposta completa o una risposta completa stringente. Si tratta di risultati da 2 a 5 volte superiori rispetto a quelli attualmente stimati per questa popolazione di pazienti, che non rispondono più a nessuna terapia disponibile e con una breve durata di sopravvivenza. Un’innovativa strategia di terapia cellulare per il mieloma multiplo in fase avanzata e che ha già esaurito tutte le opzioni farmacologiche di uso comune”. “L’Istituto di Ematologia ‘Seràgnoli’ di Bologna – continua il prof. Cavo – ha partecipato attivamente allo studio KarMMa, arruolando pazienti che hanno ricevuto una terapia sperimentale con cellule CAR-T, ed è attualmente l’unico centro ematologico italiano presso il quale è attivo lo studio KarMMa-3 con cellule CAR-T, che ha fatto seguito a quello oggetto della presentazione ad ASCO”.
“Fino ai due terzi dei malati presenta dolore osseo, in particolare alla schiena, al momento della diagnosi e circa il 75% mostra fratture ai raggi X – spiega il prof. Mario Boccadoro, Direttore della Divisione Universitaria di Ematologia, Città della Salute e della Scienza di Torino -. Sono sintomi debilitanti con un impatto significativo sulla qualità di vita: spesso per queste persone diventa difficile camminare, fare le scale e talvolta non possono più guidare l’automobile. La diagnosi precoce però è difficile, perché molti pazienti non presentano sintomi fino allo stadio avanzato della malattia o manifestano disturbi generici, che potrebbero essere causati da altre patologie. L’esame del sangue può fornire una prima indicazione della presenza di questo tumore delle plasmacellule, attraverso l’osservazione di elevati livelli di immunoglobuline. Per aumentare le diagnosi in fase precoce, è importante diffondere fra i medici di famiglia la cultura del quadro proteico elettroforetico, un esame del sangue che consente di scoprire la componente monoclonale, cioè la proteina circolante prodotta dalle cellule del mieloma. Va assolutamente evitato il ‘fai da te’, che espone i pazienti alla sottovalutazione dei sintomi e a pericolosi ritardi nel trattamento”.
Negli ultimi anni la sopravvivenza nel mieloma multiplo è quintuplicata, passando da 2 a 10 anni. “Purtroppo questa neoplasia del sangue tende a recidivare con alta frequenza – continua il prof. Boccadoro -. Siamo quindi in grado di curarla molto bene, ma solo il 10% dei pazienti guarisce. Il nostro obiettivo è proprio migliorare questa percentuale. Quasi tutte le persone colpite da mieloma multiplo non vengono sottoposte a una sola terapia. Proprio perché ricadono, devono seguire più linee di trattamento. Le CAR T stanno aprendo nuove strade in questi pazienti pesantemente pretrattati, che, se in buone condizioni generali, sono candidabili alla cura con questa nuova arma. In futuro, ci auguriamo di poter utilizzare le CAR T anche in malati in fase iniziale considerati ad alto rischio”.
“La produzione delle cellule CAR T nello studio KarMMa è complessa e sofisticata e comprende varie fasi – sottolinea il prof. Cavo -. La prima di queste riguarda la raccolta dal sangue del paziente dei linfociti T, che vengono poi separati dal resto delle cellule sanguigne e del plasma attraverso una tecnica chiamata aferesi. Nella seconda fase, i linfociti T vengono trasdotti (ingegnerizzati) in laboratorio con un virus inattivato (vettore virale), che ‘trasporta’ un gene modificato, e resi in grado di esprimere sulla loro superficie il recettore chimerico CAR (Chimeric Antigen Receptor), vale a dire una proteina ibrida sintetica composta da una porzione in grado di riconoscere l’antigene (proteina) di maturazione delle cellule B (BCMA), espresso uniformemente sulle cellule (plamacellule) dei pazienti con mieloma multiplo, e da una porzione in grado di attivare i linfociti T stessi dopo il riconoscimento dell’antigene BCMA (il loro bersaglio), con conseguente morte delle cellule tumorali. I linfociti CAR così prodotti vengono poi espansi in laboratorio per raggiungere il numero di elevati milioni di cellule che, dopo circa quattro settimane, sono pronte per essere reinfuse nel paziente. La terza fase comprende la reinfusione delle cellule CAR-T (vale a dire, del prodotto cellulare ide-cel) nel paziente dopo un’adeguata terapia farmacologica, che ha il compito di facilitare l’espansione e l’attivazione delle cellule CAR nel paziente”.
“Per somministrare in sicurezza le CAR T servono equipe multidisciplinari, i CAR T cell team, gruppi formati da circa 40 persone – conclude il prof. Boccadoro – Non solo. Va stabilita una completa collaborazione fra industria e strutture sanitarie, perché vi è una condivisione della responsabilità nella preparazione di questi farmaci, con protocolli di intesa che stabiliscono, ad esempio le modalità di raccolta, conservazione e spedizione delle cellule modificate. Ad oggi quasi tutte le Regioni hanno definito i CAR T cell team (ad esempio in Lombardia sono 11, in Piemonte 4, in Veneto 2, in Emilia-Romagna uno). Inoltre ogni team deve prevedere anche la presenza di esperti della singola patologia”.