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Malattie respiratorie: attenzione alla bassa umidità

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Malattie respiratorie acute, una ridotta umidità indoor è un fattore di rischio secondo uno studio pubblicato su The Journal of Infectious Diseases

Stando ad uno studio pubblicato su The Journal of Infectious Diseases, livelli ridotti di umidità assoluta indoor correlano con un innalzamento del rischio di malattie respiratorie acute (ARI) negli anziani ricoverati in strutture sanitarie protette.

“Questa osservazione – scrivono gli autori dello studio – avvalora le evidenze sulla necessità di adottare particolari accorgimenti che tengano conto del fattore summenzionato ai fini della prevenzione dell’influenza nelle case di cure e a livello familiare domestico (es: riscaldare e, al contempo, umidificare gli ambienti durante la stagione fredda”.

Lo studio, in sintesi

I ricercatori hanno condotto uno studio prospettico di coorte su 285 adulti anziani ricoverati in strutture sanitarie protette ad Hong Kong tra la fine del 2016 e il mese di maggio dello scorso anno.

Nello specifico, sono stati presi in considerazione i dati ambientali indoor relativi a  questi ambienti e l’incidenza di ARI. Inoltre, è stata condotta un’analisi case-crossover per determinare il rischio aggiuntivo di ARI associato a ciascun incremento unitario della temperatura media indoor e ai valori di umidità assoluta e relativa.

Dall’analisi dei dati sono emersi 168 episodi di AR, con un rischio medio di incidenza annuale pari al 36,8%.

I ricercatori hanno documentato l’esistenza di un’associazione negativa di ARI con l’umidità assoluta indoor fino a 5 giorni di persistenza di malattia nella stagione fredda, con un eccesso di rischio cumulativo a 6 giorni pari al -9% (IC95%= -15,9%; 1,5%).

Le associazioni negative con la temperatura interna ambientale o l’umidità relativa e le ARI sono risultate meno consistenti nel passaggio dalle stagioni fredde a quelle calde.

Pertanto, “…lo studio ha dimostrato che la ridotta umidità assoluta indoor e outdoor correlano fortemente con una maggiore incidenza di sindromi influenzali nelle stagioni fredde, ma che l’associazione è meno appariscente in quelle calde – scrivono i ricercatori nelle conclusioni del lavoro”.

Secondo i ricercatori, il ricorso ampio all’aria condizionata nei mesi estivi potrebbe rendere ragione di quanto osservato. Tuttavia, i ricercatori si sono subito affrettati a puntualizzare che i dati da loro ottenuti non si attagliano alle regioni temperate, nelle quali la temperatura ambiente è molto più bassa che nelle regioni subtropicali, e l’impiego di impianti di riscaldamento è molto elevato.

Se in letteratura erano già presenti studi che avevano esaminato il legame tra i fattori meteorologici e l’incidenza di influenza a livello di popolazione, lo studio appena pubblicato è il primo studio prospettico di coorte, a conoscenza degli autori, ad aver guardato alle correlazioni a livello individuale.

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