Claudio Martelli intervistato da Emilio Albertario per il magazine online dell’Eurispes: “Il socialismo non è morto e può essere l’argine al razzismo e al populismo”
Chi pensa che il socialismo sia morto dovrà ricredersi. Governa in molti paesi europei ed emergono segnali di nuovo interesse persino negli Stati Uniti, come unico argine al razzismo e al populismo. È un Claudio Martelli a tutto campo quello intervistato da Emilio Albertario per il magazine online dell’Eurispes, presieduto da Gian Maria Fara. Martelli parla di Craxi, dei suoi governi, della attuale assoluta mancanza di leadership dell’Italia in politica estera; affronta anche il tema del carcere duro per i mafiosi che rischia di essere smantellato e parla del futuro governo del Paese con le posizioni di Pd, 5 Stelle e del ruolo di mediatore che si sta ritagliando Silvio Berlusconi.
On. Martelli, aver riportato Avanti in edicola è un atto d’amore o la ricerca di conquistare uno spazio politico?
Sicuramente è un atto d’amore e anche un senso del dovere. Mi sembrava assurdo che una storia così gloriosa, e anche dolorosa, ma ricca di risultati straordinari come la conquista della Repubblica e fino a tutta la tematica dei diritti dei lavoratori finisse nella dimenticanza, finisse nel nulla nel quale praticamente è finita la Prima Repubblica. Appena si è presentata l’occasione, con la digitalizzazione della collezione storica dell’Avanti presso la biblioteca del Senato, ho pensato che non dovessimo avere cura soltanto del passato dell’Avanti, ma anche occuparci del futuro di una testata storica, per quanto riguarda l’aspetto simbolico ma anche quello concreto. Oggi, la politica è essenzialmente comunicazione, come lo era ai tempi degli oratori greci ma anche romani, fino ai primi dell’Ottocento; la democrazia ha sempre vissuto di comunicazione, quanto più diffusa possibile. E qualcosa abbiamo tentato di fare anche noi agli inizi degli anni Ottanta. Credo sia stato un giornale, un partito all’avanguardia in questa materia. L’Avanti di oggi non può identificarsi con un frammento della storia socialista. Noi guardiamo a tutti i socialisti. Osservo che non esistono più le sigle dei vecchi partiti, oppure, se esistono, esistono come reliquie di un passato. Noi pensiamo di parlare al socialismo contemporaneo, ma anche a quello del futuro, osservando che è balzana l’idea di alcuni intellettuali che, essendo stati per tutta la vita magari comunisti, ritengono che anche il socialismo, il socialismo democratico sia finito, come se ci fosse qualcosa da festeggiare da questo annuncio, soprattutto come se l’annuncio fosse vero. Io vedo, al contrario, segni evidenti della rinascita, sostenuti dalla realtà dei fatti. I socialisti guidano il governo in Spagna, Portogallo; un “simil-socialismo” governa anche la Grecia. Poi, in Danimarca, in Svezia, in Finlandia e in altri Stati, i socialisti sono partner di governo come nella socialdemocrazia in Germania. Ma, soprattutto, colpisce che il socialismo rinasca negli Stati Uniti, dove è stato estirpato con la violenza agli inizi del Novecento. Eppure, la successione delle due crisi, quella finanziaria e quella pandemica, segnalano anche nella nazione capitalista più potente del mondo la necessità di tenere insieme la coesione sociale in tempo di crisi, respingendo o contenendo l’attacco populista e nazionalista, riposa in buona parte sull’esistenza dei socialisti, e non dei comunisti. Lo sono in tanti paesi europei, lo sono negli Stati Uniti tanto dovrebbe bastare per scongiurare i cattivi presagi. Tutto dipende, però, dalla capacità degli uomini e della politica che devono saper cogliere le necessità. L’Eurispes è stato per me una scuola con l’Osservatorio sulle migrazioni, per applicare a una scienza contemporanea come la sociologia fondata sui sondaggi, analisi approfondite delle tendenze profonde della socialità per mettere alla prova convinzioni e princìpi ai quali mi sono sempre dedicato.
Il primo titolo di Avanti, il 2 giugno scorso, in occasione della festa della Repubblica è stato: “Grazie a Nenni”. Lei recentemente ha scritto un libro su Craxi, a vent’anni dalla morte. Un grazie lo dobbiamo anche a Craxi?
Penso proprio di sì per quello che ha fatto negli anni Ottanta e per le idee che ci lascia in eredità. Quel che ha fatto è abbastanza noto: il suo è stato il Governo più duraturo e più foriero di risultati per il nostro Paese. Se penso che al termine dei quattro anni del Governo Craxi l’Italia cresceva al ritmo del 4 e mezzo per cento c’è da sognare a occhi aperti. Magari fosse questa, non dico la realtà, ma solo la possibilità dell’Italia di oggi. Il Paese aveva un grande prestigio internazionale ed esercitava un ruolo importante nello scacchiere e soprattutto nel Mediterraneo, dove siamo stati scalzati da 15 anni di incuria e di incapacità politica. Basti considerare la vicenda libica e come ci siamo fatti scalzare dal nostro ruolo di moderatori, regolatori e grandi agenti della pace, dalla Turchia. Sino a questa vicenda, per me incredibile, di vendita di armi all’Egitto, nel momento in cui dovevamo esercitare la massima pressione per ottenere la verità su Regeni. Sono tutti segnali di una inconsistenza della politica estera. Ricordo nel 1980, Craxi prima di diventare Presidente del Consiglio, in un discorso al Parlamento per la fiducia al Governo Cossiga, osservò come, per tanti aspetti, si aveva la sensazione di uno scarso senso dello Stato, una assenza della coscienza nazionale, e anche di atteggiamenti servili nei confronti del potente alleato americano. Certo, di questo errore non si è macchiato lui; pur essendo un uomo dell’Occidente fermissimo nella difesa del mondo libero rispetto alle minacce sovietiche, non dimenticò mai di essere un socialista da politico e da uomo delle Istituzioni.
Dopo la strage di Capaci, il Governo in cui lei era Ministro della Giustizia, varò, non senza difficoltà, il carcere duro per i mafiosi. A 28 anni dal sacrificio di Falcone e Borsellino questa legge rischia di essere in pericolo?
Più che in pericolo, mi sembra che rischi di essere attenuata nel tempo. Io penso che il carcere che si chiama “duro”, ovvero l’isolamento dei detenuti più pericolosi, mi sembra una misura persino ovvia. Non si può consentire che i boss della mafia o della ’ndrangheta o della camorra, spadroneggino in carcere, intimidendo altri detenuti e le guardie carcerarie. Non possono essere messi in condizione di continuare a comandare dall’interno del carcere. È questo lo scopo del 41-bis. Non è una misura afflittiva, o di violenza sulle persone o punitiva. No, è una misura preventiva per evitare che continuino a delinquere dall’interno del carcere. Per approvare il 41-bis ci furono molte resistenze. Addirittura i gruppi parlamentari riuniti della Democrazia Cristiana, votarono contro il decreto dell’8 giugno, il “decreto Falcone”, che conteneva, oltre al 41-bis, altre misure di rigore per la repressione antimafia. In realtà, senza l’assassinio di Borsellino non so se sarebbe mai passato in Parlamento, devo dirlo con franchezza, perché la condizione politica, l’opposizione anche del Partito Comunista era assolutamente contraria. Fino all’ultimo ci fu il tentativo di rinviare ai primi di agosto con la richiesta del gruppo comunista al Senato, di rinviare la votazione, con supplementi di indagine, per una misura che veniva ritenuta ai limiti della Costituzione.
On. Martelli, per il futuro dell’Italia vede un quadro di unità nazionale o una grande coalizione che abbia al centro i temi dell’economia e della giustizia?
È difficile a dirsi. Vedo scarsissima volontà da parte dei partiti che oggi governano, cioè Pd e 5 Stelle, di abbandonare la guida del Governo, per far largo ad altre forze. E vedo le opposizioni, a loro volta, prigioniere, in particolare alcuni partiti, di un populismo gridato, una gabbia dalla quale è difficile possano influenzare davvero la cultura del nostro Paese. Per quanto riguarda Pd e 5 Stelle si comprende benissimo perché resistano non solo per brama di potere, ma per una maggiore compatibilità più di quanta ce ne sia con altri soggetti, penso in particolare alla Lega e a Fratelli d’Italia. Diverso è il rapporto con Forza Italia, come si vede anche nelle vicende attuali sulle misure per rilanciare il Paese. Mi pare che la disponibilità di Forza Italia e, in generale, la posizione di Berlusconi risalti, in questa fase, per essere il leader più ispirato da equilibrio e saggezza.