Tumore del rene: in Italia i casi sono in diminuzione ma il 30% delle diagnosi è in fase avanzata. Minore incidenza della neoplasia registrata tra gli uomini
Diminuiscono i nuovi casi di tumore del rene in Italia. In tre anni, sono state registrate complessivamente 800 diagnosi in meno, con un calo del 6%. Erano 13.400 nel 2016, ne sono state stimate 12.600 nel 2019. Peraltro la diminuzione riguarda soltanto gli uomini (da 8.900 a 8.100), l’incidenza della neoplasia invece resta costante fra le donne (4.500). Preoccupa l’alto numero di casi scoperti in fase già avanzata, pari a circa il 30%. E resta la forte resistenza dei cittadini nei confronti della prevenzione primaria (no al fumo, attività fisica costante e dieta corretta). Nella lotta contro la malattia, infatti gli stili di vita rivestono un ruolo molto importante, in particolare l’attività fisica. E proprio al movimento è dedicata la Giornata Mondiale contro il tumore del rene che si celebra oggi, promossa dall’International Kidney Cancer Coalition (IKCC), rete internazionale e indipendente di associazioni di pazienti provenienti da tutto il mondo (ne rappresenta circa 45).
“È dimostrato che l’attività fisica praticata con costanza è in grado di ridurre fino al 22% il rischio di sviluppare la malattia – spiega Massimo Di Maio, Segretario AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Direttore Oncologia dell’Ospedale Mauriziano, Università degli Studi di Torino -. Non solo. Anche nei pazienti che hanno già ricevuto la diagnosi, il movimento può migliorare del 15% i risultati dei trattamenti, riducendo fatigue, ansia e depressione, con un impatto positivo sulla qualità di vita. Si tratta di risultati paragonabili a quelli di un farmaco efficace. Purtroppo, in Italia, ben il 34,5% dei cittadini è sedentario e, fra i pazienti con tumore del rene, questa percentuale cresce fino al 75%. Serve più impegno per far comprendere a tutti i grandi benefici del movimento”. Nel mondo, nel 2018, il cancro del rene ha colpito più di 403.260 persone. “I principali sintomi sono sangue nelle urine, dolore al fianco e presenza di una massa palpabile a livello addominale, spesso presenti solo in fase metastatica – afferma Cristina Masini, Dirigente Medico Struttura Complessa Oncologia AUSL Reggio Emilia -. Circa il 60% delle diagnosi è casuale e avviene di solito tramite un’ecografia addominale eseguita per altri motivi, senza sintomi specifici. Una casualità che presenta conseguenze positive, perché in questo modo la malattia può essere individuata precocemente e curata con successo. Se riusciamo a intervenire durante le prime fasi della patologia, le guarigioni superano il 50%. Ma circa il 30% delle diagnosi avviene ancora in stadio avanzato. In questi casi, il tasso di sopravvivenza a 5 anni è del 12%, ma in graduale aumento grazie a terapie innovative”. “Ad esempio cabozantinib – sottolinea Cristina Masini – è un nuovo inibitore delle tirosin-chinasi, che ha dimostrato di essere particolarmente efficace nei pazienti in fase metastatica. Svolge un’azione anti-angiogenica, riuscendo a fermare la formazione di vasi sanguigni. Il farmaco, che era già stato approvato per il trattamento del carcinoma renale avanzato negli adulti precedentemente trattati con terapia anti VEGF, da settembre dello scorso anno, è disponibile in Italia anche come trattamento di prima linea”.
Nel nostro Paese vivono più di 129mila persone con la diagnosi. “Nei tumori renali la chemioterapia è, storicamente, poco efficace – sottolinea il prof. Di Maio -. Un tempo la nefrectomia totale, cioè l’asportazione totale del rene, era un intervento indispensabile, oggi esistono tecniche chirurgiche che risparmiano parte del rene e, in caso di malattia metastatica, l’opportunità della chirurgia si valuta caso per caso. È tramontato il vecchio paradigma secondo il quale la massima asportazione di tessuto garantisce le migliori possibilità di cura. Quindi, oggi, abbiamo più armi da inserire in una strategia di cura che vede chirurgia, radioterapia, terapie mirate e immunoterapia, migliorando in maniera significativa la capacità di gestione complessiva della neoplasia metastatica. L’obiettivo è rendere cronica la malattia, garantendo una buona qualità di vita. Inoltre, la collaborazione multidisciplinare tra chirurghi, urologi, oncologi medici, radioterapisti, anatomopatologi, psico-oncologi e medici nucleari non deve essere più un’opzione ma un obbligo. Purtroppo sono ancora pochi sul territorio i team multidisciplinari dedicati, sul modello delle Breast Unit per il carcinoma della mammella. Da una medicina basata sul singolo specialista si deve arrivare alla scelta della migliore terapia attraverso la discussione condivisa e il confronto tra più professionisti”.
“Ansia, depressione, disturbi del sonno e più in generale distress emozionale sono frequenti fra i pazienti oncologici, inclusi quelli colpiti da tumore del rene – spiega Anna Costantini, Direttore Psico-Oncologia Ospedale Sant’Andrea di Roma –. Devono essere individuati precocemente per il loro effetto negativo, se non trattati, su qualità della vita, aderenza ai trattamenti, decorso della malattia e soddisfazione per le cure. Identificare pazienti a rischio di sofferenza emozionale permette di intervenire con programmi specifici di supporto psiconcologico nei reparti di oncologia, efficaci sia sulla sintomatologia ansioso depressiva, evitandone la cronicizzazione, sia sul miglioramento delle abilità di coping (fronteggiamento) verso la malattia, con conseguente rinforzo delle risorse interne ed esterne del malato e della sua famiglia. Un’indagine condotta nel 2018 dall’International Kidney Cancer Coalition, che ha coinvolto 1.400 pazienti con tumore del rene e 583 caregiver di 43 Paesi, ha evidenziato che ben il 96% dei malati riferisce che la malattia ha avuto un impatto psicosociale, ma solo il 50% ne ha parlato con il clinico. Da qui l’importanza di un approccio multidisciplinare per far emergere i bisogni non corrisposti di supporto”. “Il bisogno di salute del paziente con una diagnosi di neoplasia è superiore a quello della popolazione generale – continua la prof.ssa Costantini -. E persiste a lungo nel tempo, alla luce delle caratteristiche peculiari delle patologie oncologiche, dei loro effetti e delle specifiche esigenze terapeutiche ed assistenziali. Il concetto di guarigione psicologica non coincide sempre con quella fisica. E l’aiuto della psiconcologia consente ai pazienti, anche nei casi in cui non è possibile guarire dal tumore, di recuperare una qualità di vita piena e soddisfacente, forse diversa da prima della malattia ma non meno significativa da un punto di vista esistenziale e relazionale”.
“La pandemia dovuta al Covid-19 ha messo a dura prova le persone colpite dal cancro, che sono pazienti fragili per definizione – continua il prof. Di Maio -. Nei reparti sono state adottate molte precauzioni per tutelarli e i programmi di consegna a domicilio dei farmaci orali, utilizzati anche dai cittadini con tumore del rene, hanno consentito di ridurre l’accesso agli ospedali e il rischio di contagio. Si tratta di iniziative molto importanti per garantire la continuità terapeutica. Durante la pandemia, questi pazienti sono stati seguiti anche a casa, attraverso la telemedicina e la consulenza telefonica”.
In questo contesto, Ipsen aveva lanciato un servizio di consegna a domicilio su tutto il territorio nazionale del suo farmaco oncologico orale per i pazienti con carcinoma renale, per cercare di garantire la continuità terapeutica a pazienti oncologici.
La Giornata Mondiale contro il tumore del rene è un’occasione per ridurre i confini e migliorare la collaborazione tra associazioni dei pazienti, società scientifiche e istituzioni a livello globale. “L’obiettivo è avviare un processo di sensibilizzazione sulle regole della prevenzione, sui sintomi e sui fattori di rischio di questa neoplasia – conclude il prof. Di Maio -. Oltre alla sedentarietà, vi sono altre abitudini da correggere. Al fumo di sigaretta è attribuibile circa il 40% dei casi nei maschi e il 25% nelle donne. La diminuzione delle diagnosi negli uomini, registrata negli ultimi anni, è riconducibile proprio alla minore diffusione del tabagismo in questa parte della popolazione. Al contrario le donne continuano a fumare, da qui l’incidenza stabile nelle cittadine. Un ruolo particolare è attribuito anche al sovrappeso, a cui va ricondotto un quarto delle diagnosi. Un dato preoccupante se consideriamo che il 31,6% dei cittadini over 18 è in eccesso di peso e il 10,9% obeso. È stato stimato un incremento del rischio pari al 24% negli uomini e al 34% nelle donne per ogni aumento di 5 punti dell’indice di massa corporea. La lotta contro il cancro del rene parte dalla prevenzione e un ruolo chiave è svolto dalle campagne di sensibilizzazione e informazione”.