La vigoressia è una forma di anoressia inversa: è tendenzialmente maschile e interessa in modo particolare la fascia d’età compresa tra i 19 e i 35 anni
La vigoressia venne descritta per la prima volta nel 1993 con il termine di “anoressia inversa”, attraverso una ricerca condotta su un campione di bodybuilder, ma è conosciuta anche come bigoressia, dismorfia muscolare e complesso di Adone. Questa forma di dismorfofobia, cioè di preoccupazione cronica ed esagerata per un presunto difetto fisico, si caratterizza per l’ossessione per il tono muscolare, la massa magra, l’allenamento e l’adesione a un regime alimentare basato su cibi ipocalorici e iperproteici.
“La vigoressia è tendenzialmente maschile e interessa in modo particolare la fascia d’età compresa tra i 19 e i 35 anni. In Italia si stima la presenza di almeno 60.000 individui soggetti. Anche se la fascia di età più colpita è quella tra i 25 e i 35 anni, seguita da quella tra i 18 e i 24 anni; l’esordio spesso si manifesta durante l’adolescenza. È ovviamente una condizione particolarmente diffusa tra gli atleti: ne sarebbe coinvolto, in particolare, più del 10% dei body builder”, spiega Francesca Denoth, nutrizionista dell’Istituto di fisiologia clinica (Cnr-Ifc).
Dal progetto Soda (Survey on doping among adolescents), condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche nel 2017 su un campione di 15.000 studenti italiani fra i 15 e i 19 anni, è emerso che l’1,4% ha fatto uso almeno una volta nella vita di sostanze dopanti, con lievi differenze di genere (1,5% maschi e 1,2% femmine) ed età (1,3% minorenni, 1,4% maggiorenni). È interessante notare che, mentre fra gli atleti il ricorso al doping è legato principalmente al miglioramento della performance sportiva, fra gli adolescenti che non praticano sport agonistico sembra essere correlato alla percezione di sé e del proprio aspetto (tonicità muscolare, controllo del peso) e porta all’utilizzo sia di sostanze dopanti e medicinali, sia di prodotti quali integratori ed energizzanti. Dallo studio emerge infatti che una delle motivazioni più riferite dagli studenti per giustificare tale consumo è migliorare il proprio aspetto fisico. “Le sostanze più diffuse sono gli steroidi anabolizzanti (29.5%), i diuretici (31.4%), gli ormoni della crescita (29.1%) e i modulatori metabolici (27.6%)”, specifica Denoth.
Per giungere a una diagnosi di vigoressia, si legge sull’Almanacco del Cnr, non è sufficiente un interesse in apparenza eccessivo per la propria muscolatura, occorre che lo specialista constati la presenza dei sintomi classificati dal Manuale di diagnostica e statistica dei disturbi mentali, che la colloca fra i disturbi ossessivo-compulsivi. Un quadro complesso che investe diversi aspetti della salute: psicologici, fisici e sociali. “Le implicazioni psicologiche sono la continua insoddisfazione dell’individuo, teso verso una perfezione impossibile da raggiungere e quindi a rischio di depressione”, spiega la nutrizionista del Cnr-Ifc. “L’organismo è fortemente minacciato dal sovraccarico di allenamento, che può portare a danni muscolari seri e irreversibili, e dall’eccessivo apporto proteico, che può procurare danni renali: minacce cui si sommano ovviamente i danni derivati dall’uso di sostanze dopanti. Inoltre, le implicazioni per la salute sono tanto più gravi quanto più precoce è l’esordio del comportamento”.
Non meno importante è la compromissione del vigoressico da un punto di vista sociale e occupazionale. “Anteponendo l’allenamento alle relazioni interpersonali e all’attività lavorativa, il vigoressico può incorrere nell’isolamento e nella disoccupazione. Curare questo complesso disturbo richiede pertanto un intervento multidisciplinare e la prima difficoltà da affrontare è convincere la persona che è affetta da una vera e propria patologia, poiché spesso la vigoressia viene interpretata da chi ne è colpito come una propensione alla vita sana”, continua la nutrizionista.
A contraddire tale giustificazione e a confermare invece il reale disagio del vigoressico, il dato per il quale i giovani che ricorrono al doping fanno uso anche di sostanze psicotrope, legali e non. “Nel corso dell’anno precedente alla ricerca, il 49% del campione ha fumato sigarette, il 65% ha consumato alcolici e, tra questi, il 34% è caduto nel binge drinking. Il Cannabis abuse screening test ha poi rilevato un utilizzo problematico di tale sostanza”, conclude Denoth. Non mancano poi gli utilizzatori di altre sostanze psicoattive associate al doping: cocaina (3,2%), stimolanti (3,1%), allucinogeni (2,8%) ed eroina (1,5%) sono state utilizzate almeno una volta nella vita. “L’utilizzo di sostanze dopanti è solo un indicatore indiretto della propensione alla vigoressia, ma colpisce la sua diffusione durante l’adolescenza, età particolarmente caratterizzata dai cambiamenti a carico dell’aspetto fisico.