Denervazione renale efficace su ipertensione grave


Ipertensione grave in pazienti ad alto rischio per comorbilità, risultati positivi con la denervazione renale secondo un nuovo studio

Ipertensione grave in pazienti ad alto rischio per comorbilità, risultati positivi con la denervazione renale secondo un nuovo studio

Pubblicati sul “Journal of the American College of Cardiology”, i risultati del registro generale SYMPLICITY hanno scoperto che la denervazione renale ha conferito una riduzione costante della pressione arteriosa (BP) nei pazienti con comorbilità ad alto rischio indipendentemente dal loro punteggio di rischio di malattia cardiovascolare (CVD) aterosclerotica.

«Questi risultati riaffermano l’efficacia e la sicurezza documentate negli studi randomizzati controllati da sham ed estendono questi risultati ai pazienti con varie comorbilità e alto rischio CVD» sostengono gli autori, guidati da Felix Mahfoud, direttore della Clinica di Medicina Interna III presso l’Ospedale Universitario Saarland di Homburg/Saar, in Germania.

Dati raccolti dal registro generale SYMPLICITY

I ricercatori hanno analizzato i dati di 2.652 pazienti del Registro generale SYMPLICITY con ipertensione incontrollata e/o condizioni legate all’attivazione del sistema nervoso simpatico. In questo registro internazionale, a braccio singolo, prospettico, tutti i pazienti sono stati trattati con il sistema di denervazione simpatica renale (RDN) Symplicity (Medtronic). Gli endpoint di interesse includevano modifiche nella farmacoterapia e nelle misurazioni della BP.

Sono state eseguite diverse analisi post hoc su sottogruppi tra cui pazienti anziani o con fibrillazione atriale, grave ipertensione resistente al trattamento, diabete, malattia renale cronica e ipertensione sistolica isolata. I punteggi ASCVD (malattia cardiovascolare aterosclerotica) sono stati calcolati per i pazienti in base a informazioni su uso di farmaci antipertensivi, misurazioni sistoliche ambulatoriali della BP, livelli di colesterolo stato di fumo e stato diabetico.

I ricercatori hanno fatto diversi confronti all’interno di sottogruppi per quanto riguarda i cambiamenti di BP nel tempo e tassi di eventi avversi: più anziano vs più giovane di 65 anni, fibrillazione atriale (AF) vs. assenza di AF, diabete vs assenza di diabete, e ipertensione sistolica isolata vs assenza di ipertensione sistolica isolata. Gli eventi avversi e la riduzione della BP sono stati valutati nel corso di un periodo di 3 anni.

«La RND basata sull’ablazione con catetere ha dimostrato la sua efficacia e sicurezza in studi controllati con sham recentemente pubblicati, che includevano pazienti con ipertensione non controllata da lieve a moderata non trattata o trattata con da uno a tre farmaci antiipertensivi» proseguono Mahfoud e colleghi.

«I pazienti con comorbilità e ipertensione grave trattati con più farmaci ad alto rischio cardiovascolare non erano stati inclusi» specificano. «Questo studio mirava a valutare la riduzione della BP e i tassi di eventi dopo la RND in pazienti con varie comorbilità, testando l’ipotesi che la RND fosse efficace e duratura in queste popolazioni ad alto rischio».

Effetti duraturi secondo le analisi post hoc per sottogruppi
Dei pazienti nel registro, 2.466 pazienti hanno raggiunto un follow-up triennale. A 3 anni, la riduzione della BP sistolica sulle 24 ore è stata di 8,9 mm Hg per la coorte complessiva rispetto al basale (P < 0,0001). Per i sottogruppi ad alto rischio, la riduzione della BP è stata di 8,7 mm Hg per i pazienti di almeno 65 anni, 10,4 mm Hg nei casi di ipertensione resistente, 8,6 mm Hg per i pazienti con ipertensione sistolica isolata e 10,2 mm Hg per le persone con diabete (P in tutti i casi < 0,0001).

Inoltre, sono state osservate riduzioni di BP anche nei pazienti con AF (10 mm Hg) e in quelli con malattia renale cronica (10,1 mm Hg; P in tutti i casi < 0,0001). I pazienti che hanno mostrato una riduzione della BP con misurazioni effettuate a 6, 12, 24 e 36 mesi hanno avuto riduzioni simili di BP sistolica sulle 24 ore e in misurazione ambulatoriale a seconda dei punteggi di rischio ASCVD al basale. Questo effetto si è mantenuto a 3 anni.

Rispetto ai pazienti con punteggi di rischio ASCVD più bassi, quelli con punteggi di rischio ASCVD pari al 20% e superiori hanno avuto tassi più elevati di morte cardiovascolare (4,5%), morte (8,4%) e ospedalizzazione per AF (6,3%) o scompenso cardiaco di nuovo esordio (5,3%) a 3 anni.

«Sarebbe importante studiare l’impatto della RND sugli esiti cardiovascolari importanti nell’impostazione di sperimentazioni controllate randomizzate incentrate su pazienti ad alto rischio cardiovascolare: per esempio, in pazienti con AF o malattia coronarica» osservano gli autori.

Il problema del candidato ideale all’intervento
«I risultati qui riportati suggeriscono che l’età, il diabete, l’ipertensione sistolica isolata, la malattia renale cronica o altri dati demografici non delimitano in modo affidabile le popolazioni che potrebbero rispondere alla denervazione renale. Identificare i candidati veramente ottimali per la denervazione renale rimane il “Santo Graal” irrisolto per questa tecnologia».

Lo ha scritto, in un editoriale correlatoStephen C. Textor, consulente della Divisione di Nefrologia e Ipertensione e Professore di Medicina alla Mayo Clinic di Rochester (USA).