La dieta mediterranea combatte le IDB, malattie infiammatorie croniche intestinali: lo rivela un nuovo studio italiano
I pazienti con malattia infiammatoria cronica intestinale che hanno seguito una dieta mediterranea per sei mesi hanno visto miglioramenti significativi nei parametri legati alla cattiva alimentazione e nella steatosi. È quanto emerge da un nuovo studio pubblicato sulla rivista Inflammatory Bowel Diseases.
Dei 165 volontari arruolati, i 142 pazienti con colite ulcerosa o malattia di Crohn che hanno aderito alla dieta per sei mesi hanno visto riduzioni dell’indice di massa corporea (BMI), della circonferenza della vita, dei marcatori dell’infiammazione e dell’attività della malattia.
«I nostri dati supportano il ruolo della consulenza nutrizionale nella gestione multidisciplinare delle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD)», hanno scritto il primo autore dello studio Fabio Chicco e colleghi dell’Università di Cagliari. «L’adozione di una corretta abitudine alimentare basata su una dieta mediterranea e il raggiungimento della conformità potrebbe essere fondamentale nella gestione clinica di questi pazienti».
Uno studio italiano
Nel contesto della gestione clinica delle IBD, il ruolo della dieta è probabilmente sottovalutato, ritengono gli autori. L’alimentazione rappresenta uno dei principali determinanti del microbiota intestinale umano e una nutrizione squilibrata può contribuire a determinare uno stato di disbiosi, con molteplici effetti sull’omeostasi dell’ospite. Ha infatti dimostrato di indurre e sostenere l’infiammazione intestinale promuovendo lo sviluppo del tessuto adiposo, che rappresenta un’importante fonte di citochine pro-infiammatorie.
Inoltre disbiosi e obesità sostengono l’accumulo di grasso nel fegato e l’aumento di permeabilità intestinale. Complessivamente, queste evidenze suggeriscono che il disturbo sistemico che coinvolge il tessuto adiposo, il fegato e, più recentemente, il microbiota intestinale, potrebbe far parte di un meccanismo proinfiammatorio autosufficiente che opera nelle IBD.
Una dieta sbilanciata con accumulo di tessuto adiposo e la steatosi epatica non alcolica (NAFLD) sono condizioni associate alla malattia infiammatoria intestinale, hanno premesso gli autori dello studio. Il grasso viscerale e la disfunzione epatica correlata alla NAFLD possono peggiorare l’infiammazione intestinale. Dal momento che la dieta mediterranea ha dimostrato di migliorare sia l’obesità che la NAFLD, scopo di questo studio era analizzare l’impatto della dieta mediterranea sullo stato nutrizionale, sulla steatosi epatica, sull’attività clinica delle malattie e sulla qualità della vita nei pazienti con IBD.
I ricercatori hanno analizzato i dati di 84 pazienti con colite ulcerosa (età mediana 52 anni, BMI mediano 24,8) e 58 con malattia di Crohn (età mediana 48 anni, BMI mediano 25). All’inizio, i partecipanti hanno compilato questionari progettati per valutare la qualità della vita e sono stati sottoposti a valutazione clinica e dell’attività della malattia, compresa l’ecografia addominale per misurare la possibile steatosi. I volontari hanno anche ricevuto una consulenza dietetica da parte di un nutrizionista.
Riduzione di BMI e steatosi epatica
Al basale, l’obesità era presente in 43 pazienti con colite ulcerosa (51,2%) e 30 pazienti con Crohn (51,7%). Dopo sei mesi, nei primi l’indice di massa si era ridotto in media di 0,42 punti e la circonferenza della vita in media di 1,25 cm. Nei soggetti con malattia di Crohn il BMI era diminuito di 0,48 punti e la circonferenza della vita di 1,4 cm.
Sette pazienti con colite ulcerosa (8,33%) hanno mostrato steatosi epatica di grado lieve, 13 (15,48%) di grado moderato e 11 (13,09%) di grado lieve al basale. Dopo 6 mesi, la steatosi epatica era di grado elevato in 3 pazienti (3,57%), moderata in 9 (10,71%) e lieve in 6 (7,14%).
Allo stesso modo, al basale 31 pazienti con malattia di Crohn (53,45%) non presentavano segni di steatosi, mentre 6 (10,34%) avevano steatosi epatica lieve, 10 (17,24%) moderata e 11 (18,97%). Dopo sei mesi, 40 pazienti (68,97%) non avevano evidenza di steatosi, 10 (17,24%) avevano steatosi lieve, 6 (10,34%) moderata e 2 (3,45%) di grado elevato.
Nel corso dei sei mesi anche il numero di pazienti con colite ulcerosa attiva è diminuito, passando da 14 (23,7%) al basale a 4 (6,8%), mentre tra quelli con Crohn il numero dei soggetti con malattia attiva si è ridotto da 9 (17%) al basale a 2 (3,8%).
«Il nostro studio sottolinea l’importanza di un approccio multidimensionale nella gestione delle IBD, non limitato al trattamento dell’infiammazione ma esteso alla correzione dello stato nutrizionale e della steatosi epatica. La rilevanza di questo approccio sembra essere notevole sul controllo delle malattie con un possibile effetto sul risparmio di farmaci, sul benessere dei pazienti e nel ridurre il rischio di altre condizioni potenzialmente letali, una delle quali è la steatosi epatica e le sue complicanze» hanno concluso gli autori.
«I nostri dati supportano il ruolo della consulenza nutrizionale nella gestione multidisciplinare delle IBD. L’adozione di corrette abitudini alimentari basate sulla dieta mediterranea potrebbe essere fondamentale nella gestione clinica di questi pazienti. Sono comunque necessari ulteriori studi che coinvolgano un gruppo di pazienti più ampio per migliorare le nostre conoscenze sulla relazione tra dieta e IBD».