Tumore trofoblastico gestazionale: funziona l’immunoterapia con avelumab dopo la chemio secondo uno studio francese di fase 2
Le donne affette da un tumore trofoblastico gestazionale, una neoplasia molto rara che si sviluppa all’interno dell’utero durante o dopo la gravidanza, possono essere trattate con l’anti-PD-L1 avelumab se il tumore è resistente alla chemioterapia con un agente singolo. Lo dimostrano i risultati di una coorte di uno studio francese di fase 2 tuttora in corso, piccolo, ma importante. Il trial, chiamato TROPHIMMUN, è stato presentato, infatti, nella sessione plenaria al congresso virtuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), da poco terminato.
Oltre metà delle pazienti potenzialmente guarite
Nello studio, condotto in collaborazione con il French Gestational Trophoblastic Disease Center, il trattamento con avelumab ha potenzialmente guarito 8 pazienti su 15 (il 53%), portando a una normalizzazione dei livelli di gonadotropina corionica umana, che è utilizzata come biomarker dell’attività del tumore. Inoltre, la tollerabilità del farmaco è apparsa molto migliore rispetto a quella della chemioterapia.
Avelumab è la prima immunoterapia a dimostrarsi efficace nel trattamento delle donne che hanno sviluppato un tumore trofoblastico gestazionale e grazie a questi risultati potrebbe diventare una nuova opzione terapeutica per queste pazienti.
«Il nostro studio fornisce una prova del concetto dell’efficacia dell’immunoterapia contro questi tumori, quando si sviluppa una resistenza alla monochemioterapia, a conferma del razionale dello studio stesso» ha dichiarato l’autore che ha presentato i dati Benoit You, dell’Institut de Cancérologie des Hospices Civils di Lione.
«Sebbene siano necessari ulteriori studi prima di cambiare la pratica clinica, si tratta di risultati altamente promettenti, che suggeriscono come avelumab possa risparmiare alle pazienti con malattia resistente alla monochemioterapia la tossicità grave delle combinazioni chemioterapiche» ha aggiunto l’oncologo.
«Dato il numero di pazienti che non ha recidivato e la ridotta tossicità rispetto alla chemioterapia standard con un agente singolo, l’immunoterapia con avelumab merita di essere ulteriormente studiata come trattamento per questo tumore ginecologico raro» ha commentato il presidente dell’ASCO, Howard A. Burris III.
Il razionale d’uso di avelumab
I tumori trofoblastici gestazionali sono escrescenze anormali nell’utero che si sviluppano dalla placenta prodotta durante il concepimento. Quando la malattia è attiva sono caratterizzati da livelli elevati di hCG.
L’attuale strategia terapeutica per le donne che hanno un tumore di questo tipo resistente alla monochemioterapia consiste in regimi chemioterapici di combinazione, che sono efficaci, ma anche altamente tossici. Inoltre, la maggior parte di questi tumori recidiva entro 6 mesi dall’interruzione del trattamento.
Tutti i sottotipi di tumore trofoblastico gestazionale esprimono costitutivamente PD-L1; inoltre nella sorveglianza immunitaria di questa neoplasia sono coinvolti l’HLA-G e le cellule natural killer (NK).
Avelumab è un anticorpo monoclonale che blocca PD-L1 e innesca la citotossicità attraverso le cellule NK; per questo, l’inibitore del checkpoint potrebbe rappresentare un’alternativa ragionevole alla chemioterapia per questi tumori ed è stato quindi testato da You e gli altri autori nello studio TROPHIMMUN.
Lo studio TROPHIMMUN
TROPHIMMUN (NCT03135769) è uno studio accademico multicentrico nel quale il team francese ha arruolato in 2 anni 17 pazienti che avevano un GTT resistente alla monochemioterapia.
Le partecipanti sono state trattate con avelumab ev ogni 2 settimane fino a quando i livelli di hCG non sono tornati alla normalità, e poi con altri tre cicli dell’anti-PD-L1.
Delle 17 donne arruolate, ne sono state trattate 15. L’età mediana delle pazienti era di 34 anni e il 47% di esse era in stadio III con metastasi. Tutte erano in progressione dopo essere state trattate con metotrexato e in un caso il tumore aveva progredito anche dopo un trattamento con actinomicina-D.
Primo caso di gravidanza conclusa con successo dopo un tumore curato con l’immunoterapia
Dopo un follow-up mediano di 29 mesi, il 53% delle partecipanti non aveva alcun segno di recidiva della malattia e aveva ottenuto la normalizzazione dei livelli di hCG, permettendo la sospensione di avelumab.
Se la malattia non aveva recidivato dopo 12 mesi e si era concluso il monitoraggio dell’hCG, gli autori consideravano la paziente potenzialmente guarita.
Sette pazienti hanno raggiunto livelli normali di hCG durante il trattamento con avelumab e una dopo l’interruzione dell’immunoterapia.
Una di queste donne ha anche potuto portare avanti con successo una gravidanza un anno dopo aver interrotto avelumab e ha partorito un bambino sano. È il primo caso documentato di una gravidanza normale dopo un tumore curato con l’immunoterapia, il che, ha commentato You, è rassicurante dal punto di vista dell’impatto del trattamento sulla fertilità.
Le restanti sette pazienti (il 47%) si sono dimostrate resistenti ad avelumab e sono state trattate con la chemioterapia con actinomicina-D o una polichemioterapia, con o senza chirurgia.
Tollerabilità “molto soddisfacente
La tollerabilità del farmaco è stata definita da You «molto soddisfacente» e «molto migliore rispetto a quella della chemioterapia».
Gli effetti collaterali sono stati generalmente lievi e il 93% delle pazienti ha manifestato eventi avversi correlati al farmaco di grado 1-2. I più comuni sono stati affaticamento (33%), nausea e vomito (33%) e reazioni correlate all’infusione (27%).
Non si sono osservati eventi avversi gravi, né decessi. Tuttavia, You ha riferito che tre pazienti hanno sviluppato disturbi alla tiroide dopo il trattamento.
Prospettive future
In conferenza stampa, l’oncologo ha spiegato che i ricercatori condurranno ora studi traslazionali per capire meglio perché alcune pazienti abbiano risposto bene e altre no.
Inoltre, è già partito uno studio di fase 1/2, chiamato TROPHAMET, nel quale si vuole valutare l’efficacia di metotrexato e avelumab come trattamento di prima linea, prima che possa svilupparsi una resistenza al trattamento.
“Con il metotrexato si stima di poter curare il 70% delle pazienti. Quello che ci aspettiamo è che, combinandolo con avelumab, potremo curarne il 95%» ha detto You.