RMI e staminali per il danno cerebrale ipossico


Tecnologia e staminali per trattare il danno cerebrale ipossico/ischemico: la risonanza magnetica potrebbe identificare le lesioni  trattabili

danno cerebrale ipossico

Il danno cerebrale ipossico/ischemico è una condizione patologica simile all’ictus che si presenta nei neonati nel periodo perinatale e neonatale e costituisce uno dei principali fattori di rischio per mortalità e morbidità. Si verifica in 2-4 neonati su 1000 e, nonostante l’utilizzo – in alcuni casi – dell’ipotermia terapeutica, l’80% dei neonati asfissiati sviluppa segni neurologici di cui il 10%-20% rimane significativamente compromesso (ad esempio, paralisi cerebrale, disabilità mentale e motoria, epilessia). Senza tecniche di prevenzione o di cura, è stata a lungo considerata una condizione candidata alle terapie a base di cellule staminali. Studi preclinici su modelli murini sostengono la possibile applicazione delle cellule staminali neurali umane per questa condizione e, grazie alla risonanza magnetica, si potrebbero identificare le lesioni trattabili, evitando terapie inutili.

La medicina rigenerativa non ha ancora a disposizione dei biomarcatori in grado di identificare le lesioni trattabili con una terapia cellulare sulla base del loro profilo clinico e molecolare. Questo sarebbe utile a livello di sicurezza e di efficacia, ma è un ambito di ricerca molto recente e gli studi sono in corso. Tra questi, quello sul danno cerebrale ipossico/ischemico perinatale/neonatale: dopo anni di ricerche su modelli animali, si è capito che per questa patologia il ruolo delle cellule staminali neurali umane (hNSC) è per lo più neuroprotettivo. Bisogna però sottolineare che l’uso di queste cellule non è utile per tutti i casi, ma per un sottoinsieme di lesioni che corrispondono a specifici parametri e che sono in grado di rispondere all’intervento. Il problema è proprio quello di riuscire a identificare le lesioni trattabili, evitando metodi invasivi e sottoponendo al trattamento solo i casi che potrebbero trarne dei miglioramenti.

La risonanza magnetica per immagini (RMI) sembra essere la soluzione adatta: un gruppo di ricerca guidato da Evan Y. Snyder – professore e direttore del Centro per le cellule staminali e la medicina rigenerativa presso il Sanford Burnham Prebys Medical Discovery Institute – ha fornito prove a sostegno dell’utilizzo della tecnica di imaging come mezzo per selezionare le lesioni da danno cerebrale ipossico/ischemico che riceveranno benefici terapeutici da un trapianto di hNSC. Questo perché nelle lastre, nel caso di danno cerebrale ipossico/ischemico, sono identificabili due zone: un nucleo con lesione necrotica irreversibile circondato da una zona potenzialmente reversibile detta penombra. Le lesioni vengono classificate come lievi, moderate e gravi in base alle dimensioni e al rapporto tra nucleo e penombra. Questo permette di discriminare tra quelle trattabili con la terapia cellulare e quelle che non lo sono.

Nei casi in cui è possibile applicare il trattamento, le hNSC migliorano gli esiti della lesione, anche se non hanno alcun effetto sul nucleo, e i parametri motori e/o cognitivi. L’evoluzione della zona di penombra in un nucleo necrotico può essere quindi evitata grazie al trattamento. Inoltre, le hNSC possono indurre il tessuto a diventare “normale”, recuperando la funzionalità. Purtroppo, il nucleo della lesione non migliora perché non ha i parametri clinici e molecolari compatibili con la recuperabilità del danno. Proprio per questo, la valutazione preliminare è molto importante.

Il salvataggio di questa zona è impattante perché probabilmente contiene vaste reti neurali che, se danneggiate, portano ai gravi sintomi: nello studio pubblicato a maggio su Cell Reportsil trattamento è stato associato a un miglior atteggiamento esplorativo ed a una migliore memoria spaziale nei topi. L’insieme dei dati – risonanza magnetica, istologia del tessuto, comportamento dell’individuo – è stato messo insieme e analizzato da un algoritmo. Dato che i metodi analitici descritti nello studio possono produrre le stesse classificazioni nei neonati umani con lo stesso livello di risoluzione, specificità e sensibilità, la tecnica dovrebbe consentire la selezione dei casi che saranno più reattivi alla terapia cellulare. Risparmiando gli altri pazienti da un intervento invasivo e inutile, e permettendo loro di essere indirizzati rapidamente su altre terapie.

È quindi importante sottolineare che la semplice presenza di hNSC non produce necessariamente un esito terapeutico. Devono essere presenti due fattori: un numero sufficiente di cellule riparatrici e una regione che può essere riparata (la penombra). Di conseguenza, un neonato con solo nucleo e nessuna o poca penombra non dovrebbe, stando ai parametri studiati, ricevere un trapianto invasivo di hNSC. Questa malattia, come altre condizioni neuropatologiche, è caratterizzata dal grave problema della perdita delle reti neurali, fondamentali per il corretto funzionamento del cervello e di tutto ciò che gestisce. Obiettivo della terapia con le cellule staminali neurali umane è quello di conservare e ripristinare le reti, non solo le singole cellule.

Unire la risonanza magnetica all’algoritmo in grado di analizzare tutti i dati potrebbe offrire un utile strumento per la medicina rigenerativa, che potrebbe avviare studi clinici con una maggiore probabilità di successo sulla base di dati e criteri razionali.