Diabete di tipo 1, allopurinolo fallisce nel migliorare la progressione della malattia renale: i dati dello studio PERL pubblicato sul New England Journal of Medicine
Nei pazienti con diabete di tipo 1 e malattia renale, l’impiego di allopurinolo per ridurre i livelli di acido urico nel sangue, a cui è correlata la progressione della malattia renale, non ha dato i risultati che i ricercatori si aspettavano. Sono le conclusioni dello studio PERL appena pubblicato sul New England Journal of Medicine.
Almeno la metà delle persone che soffrono di diabete di tipo 1 sviluppano malattie renali che spesso progrediscono verso l’insufficienza renale, una condizione che richiede emodialisi o un trapianto renale per assicurare la sopravvivenza del paziente.
Negli ultimi anni la frequenza di questa complicanza diabetica si è lievemente ridotta, grazie alla disponibilità di metodi più accurati per controllare i livelli ematici di glucosio e al miglioramento dei farmaci per il controllo della pressione sanguigna, «ma la malattia renale diabetica rappresenta ancora un grosso problema» ha affermato Alessandro Doria del Joslin Diabetes Center on Genetics and Epidemiology.
Malattia renale diabetica e acido urico
La progressione della malattia renale nel diabete di tipo 1 è correlata all’aumento della quantità di acido urico nel sangue. Partendo dal presupposto che l’allopurinolo, un farmaco in grado di ridurne i livelli, potesse rallentare la malattia, Doria e colleghi hanno avviato lo studio clinico randomizzato PERL (Preventing Early Renal Loss in Diabetes) condotto in 16 istituti, che ha arruolato 530 partecipanti con diabete di tipo 1 e malattia renale da precoce a moderata.
«L’allopurinolo è sul mercato dagli anni ’60 e può facilmente ridurre l’acido urico», ha detto Doria. Questo farmaco viene prescritto per la gotta, una condizione infiammatoria causata da un eccesso di acido urico, ha spiegato. È un generico ed è economico e ha effetti collaterali noti che possono facilmente essere evitati. Inoltre ha comportato benefici evidenti in studi clinici molto più piccoli tra le persone con malattie renali croniche, una minoranza delle quali aveva il diabete.
Sfortunatamente il trial non ha mostrato i benefici clinici attesi. «Questo non è il risultato che ci aspettavamo, ma fornisce comunque una risposta molto chiara a un rilevante quesito scientifico» ha commentato Doria. «Siamo rimasti delusi dai risultati, perché speravamo di poter offrire qualcosa di nuovo alle persone con diabete di tipo 1 ad alto rischio di malattia renale allo stadio terminale».
Un secondo studio pubblicato sempre sul NEJM e condotto da ricercatori australiani su pazienti con varie malattie renali croniche, alcuni dei quali con diabete, ha portato a risultati simili.
Lo studio PERL
Nasce sulla base di numerose sperimentazioni che hanno seguito pazienti con diabete di tipo 1, tra cui uno in cui Doria ha collaborato con Andrzej Krolewski, a capo della Section on Genetics and Epidemiology del Joslin Diabetes Center. In un lavoro del 2011 i ricercatori avevano dimostrato che in questa coorte, le persone con livelli più elevati di acido urico nel sangue avevano maggiori probabilità di mostrare un’alta percentuale di perdita della funzione renale. Risultati simili erano stati ottenuti anche da altri due gruppi di ricerca a Denver, Colorado e a Copenaghen, in Danimarca.
I soggetti inclusi nello studio PERL, controllato con placebo, in doppio cieco e della durata di tre anni, hanno ricevuto l’attuale standard di cura, incluso un inibitore del sistema renina-angiotensina che nel passato aveva dimostrato di rallentare il danno renale.
Il parametro chiave per valutare la funzione renale era la velocità di filtrazione glomerulare (GFR), che misura la quantità di sangue filtrato ogni minuto dai reni e che si riduce con il progredire della malattia renale. Nel corso dello studio i livelli di acido urico sono scesi in media del 35% circa tra quanti sono stati sottoposti ad allopurinolo rispetto al placebo, «ma nonostante questa riduzione molto piccola dell’acido urico non abbiamo potuto vedere alcun effetto sul GFR» ha commentato Doria.
Una volta interrotta la somministrazione di allopurinolo durante un periodo di wash-out di 2 mesi, i livelli sierici di acido urico sono infatti tornati quasi ai livelli basali e, dopo questa fase, non è emerso alcun beneficio renale significativo (p=0,99). Terminato il wash out, il tasso medio di escrezione dell’albumina urinaria era del 40% superiore con allopurinolo rispetto al placebo. La frequenza di eventi avversi gravi era simile nei due gruppi.
«I nostri risultati mostrano chiaramente che non ha senso somministrare allopurinolo a chi ha il diabete di tipo 1 e una malattia renale diabetica precoce, a meno che il farmaco non sia indicato per altri motivi, come l’iperuricemia sintomatica» ha concluso Doria. «Tuttavia, come con qualsiasi trial clinico, bisogna evitare di generalizzare i risultati. Non possiamo infatti escludere che il farmaco abbia effetti benefici sulla funzione renale nelle persone con caratteristiche cliniche diverse, dato che ne ha avuti nei soggetti con livelli elevati di acido urico, con malattia renale in stadio avanzato o in chi soffre di diabete di tipo 2».
Il team di ricerca continuerà a seguire i partecipanti attraverso le loro cartelle cliniche e le banche dati nazionali che tengono traccia di quanti devono fare ricorso alla dialisi o al trapianto di rene. Inoltre non smetteranno di esaminare altre vie potenziali per proteggere dalle malattie renali chi ha il diabete di tipo 1.
Vedi anche:
Doria A et al. Serum Urate Lowering with Allopurinol and Kidney Function in Type 1 Diabetes. N Engl J Med 2020; 382:2493-2503.
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Badve SV et al. Effects of Allopurinol on the Progression of Chronic Kidney Disease. N Engl J Med 2020; 382:2504-2513.
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