In Italia ci sono almeno 85-90mila donne con mutilazioni genitali femminili, di cui 5-7mila minori, secondo un’indagine dell’Università la Bicocca
In Italia le donne portatrici di Mutilazioni genitali femminili (Mgf) sono 85-90mila, di cui 5-7mila minorenni – con Nigeria ed Egitto come maggiori tributarie – e le bambine oggi a rischio sono circa 5mila. È quanto stimato per il 2019 da un’indagine dell’università Milano Bicocca finanziata dal Dipartimento delle Pari Opportunità e presentata da Patrizia Farina, docente di Demografia dell’ateneo lombardo, nel corso della conferenza stampa di presentazione del Rapporto Unfpa sullo stato della popolazione 2020 in diretta sui canali Facebook di agenzia di stampa Dire e Aidos. Si tratta di un dato “non così significativo- osserva la docente- se si pensa che su 6 milioni di immigrati presenti in Italia, 3 milioni sono donne. Questo lo dico non per sminuire il fenomeno, ma perché non vorrei che sia immaginato che tutte le donne immigrate siano mutilate e infibulate. Le generazioni più giovani sono meno mutilate e hanno prevalenze decisamente più basse“, sottolinea, ricordando che il dato “è abbastanza in linea con quello che succede nei Paesi d’origine. Non tutte le comunità hanno un’incidenza così alta di mutilazioni- continua Farina- sono molto alte tra alcune nazionalità, come Mali, Sudan e Somalia. Divari intensi ci sono tra le egiziane e le sudanesi. Fra le nazionalità ad alta prevalenza le giovani somale corrono rischi molto elevati”. In generale, però, “le bambine a rischio sono relativamente contenute tra tutte le nazionalità”. Le donne intervistate, in tutto 2.200, “sono per lo più di prima generazione- spiega ancora la studiosa- Il fenomeno di per sé è avvenuto altrove, per cui noi dobbiamo prenderci cura di queste donne e intervenire con policy appropriate rispetto al rischio delle bambine”.
I DATI DELLA RICERCA
La ricerca della Bicocca ha anche indagato l’opinione delle donne. Quelle favorevoli alle Mutilazioni genitali femminili “sono il 9,4%, meno del 10%, in senso astratto- fa sapere Farina- Il 37,5% è attiva nel contrasto nel proprio Paese e qui. Il 42% non è favorevole ma è inattiva, cioè non è mobilitata perché si abbandoni questa pratica. Questo ci dice due cose- osserva la studiosa- da un lato, che è in corso l’abbandono della norma sociale, che non avviene da un giorno all’altro”. Dall’altro, che “c’è una debolezza della mobilitazione al suo abbandono che si riverbera nelle iniziative che si possono condurre nel nostro Paese”. Rispetto alle nazionalità “abbiamo le comunità nigeriana, etiope e egiziana che si rappresentano come più favorevoli al proseguimento di questa pratica”, ma l’attivismo risulta ben diffuso come l’indifferenza. Rispetto al futuro, il 76,6% dichiara che non sottoporrebbe la figlia alla pratica delle Mutilazioni genitali femminili per nessun motivo. Per il resto, “le donne si giocano dei compromessi”: il 4,7% opterebbe per un rito di passaggio alternativo; il 3,8% per una pratica senza asportazione; il 7,8% la sottoporrebbe alla pratica di taglio con asportazione e/o infibulazione; il 7,1% non sa, “ed è questo il mondo su cui bisogna agire”, avverte Farina. A prescindere dalle figlie “molte delle donne continuano a dire che non lo farebbero- prosegue- Nel favore che c’è, c’è dentro la medicalizzazione, che raggiunge il 13% delle donne favorevoli, e il rito simbolico, con un altro 6,3%. Quindi abbiamo una norma sociale che resiste, ma il cammino è tratto”. L’indagine dell’ateneo milanese segue quelle del 2016 e del 2010. “Le cose stanno migliorando- fa sapere l’esperta- L’intensità del fenomeno nel 2016 era più alta di quella di oggi, nonostante il fatto che le donne provenienti da quei Paesi siano cresciute”.
Tra le motivazioni che stanno alla base della scelta della pratica ci sono “le tradizioni culturali, al 22,5%, e l’accettazione sociale, al 13,2%, che dominano il processo di adesione alle Mutilazioni genitali femminili”. Il cambio, però, è significativo se si prendono in considerazione determinate caratteristiche. “Le donne non mutilate a loro volta non mutilano più le proprie figlie, c’è un effetto volano positivo- sottolinea Farina- Ogni bambina a rischio che non sarà mutilata diventerà una madre che a sua volta non mutilerà più, in un circolo virtuoso che è alla base della riduzione delle prevalenze nei Paesi di origine e qui”. Inoltre, c’è anche un effetto legato all’empowerment, in cui un ruolo “formidabile” è giocato dall’istruzione: “Le donne molto istruite non lo farebbero nell’oltre 90% dei casi. Le donne poco istruite nel 60% dei casi”. “Ci sono buone notizie- conclude Farina- Il favore per le Mgf si riduce in Italia come nel resto del mondo e più di un terzo delle donne è attiva nel contrastarle. L’adesione è contenuta e guidata anche dal ricorso al rito alternativo. Ci sono delle criticità: privatizzazione della pratica che riduce il sostegno. Le bambine non sono a rischio a zero”.
AIDOS: “CONTRO PRATICHE DANNOSE GARANTIRE LA CONTINUITÀ AI FONDI”
“Un impegno finanziario ancora più forte a sostegno dell’uguaglianza di genere nella cooperazione internazionale”, con “un incremento dei fondi già destinati a progetti e programmi per il contrasto alle pratiche dannose” come il Joint programme Unfpa-Unicef to Eliminate Female Genital Mutilation, e un investimento su “nuove iniziative di contrasto alla pratica dei matrimoni precoci, garantendo continuità e sostenibilità” ai fondi, che non devono essere spot. Sono alcune delle raccomandazioni che Maria Grazia Panunzi, presidente di Aidos-Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo, ha proposto nel corso della conferenza stampa di presentazione in contemporanea mondiale del Rapporto Unfpa sullo stato della popolazione nel mondo 2020 ‘Contro la mia volontà. Affrontare le pratiche dannose per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere’, trasmessa in diretta Facebook sui canali dell’agenzia di stampa Dire e di Aidos.
“L’Italia il prossimo anno ospiterà il G20, dove ci si occuperà molto di economia- ricorda Panunzi- La presidenza italiana si occuperà quasi sicuramente anche di salute globale, di empowerment delle donne e gender equality, quindi sarebbe estremamente interessante se durante questa presidenza italiana ci fosse un‘iniziativa concreta sulle pratiche dannose e sull’uguaglianza di genere, un segnale molto forte di un impegno internazionale”.
Rispetto alle azioni da intraprendere nel nostro Paese l’invito della presidente di Aidos è di rivolgersi alle donne che sono incerte se praticare o meno le Mutilazioni genitali femminili (Mgf) sulle figlie: “È importante formare il personale medico, sanitario, di accoglienza e educativo a parlare con le donne portatrici di Mgf e con i papà nei casi di donne che sono in contatto con il SSN in occasione della gravidanza”, per fare in modo che “vengano sensibilizzate e informate sui rischi di questa pratica”. Panunzi propone “formazioni specifiche del personale che accoglie queste donne” e “l’istituzionalizzazione di alcuni centri regionali attivi sulle Mgf, dotandoli di finanziamenti regolari in modo che possano continuare a lavorare e fare da centro di riferimento”. Infine, fondamentale è “realizzare molte campagne di sensibilizzazione e informazione, coinvolgendo donne ragazze e comunità migranti. Ci sarà un dopo-Covid- sttolinea Panunzi- Ci preme dire che non possiamo pensare a una ripresa degli schemi passati che non hanno funzionato se hanno portato a discriminazioni e disuguaglianze come quella di genere. Vogliamo guardare con uno sguardo nuovo al dopo pandemia e mettere finalmente al centro delle politiche i diritti delle donne e delle ragazze. Non possiamo aspettare ancora”, conclude.
CUTILLO (UNFPA): “LA PANDEMIA RALLENTERÀ IL CONTRASTO ALLE PRATICHE DANNOSE”
“La pandemia avrà un impatto sull’eliminazione delle pratiche dannose come Mutilazioni genitali femminili (Mgf) e matrimoni precoci, il cui contrasto potrebbe subire un “rallentamento drammatico sul raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile del millennio”. Ad avvertire del rischio che si corre sulla pelle di donne e ragazze, colpite dalle pratiche dannose, è Mariarosa Cutillo, chief of strategic partnership di Unfpa, intervenuta alla conferenza stampa di presentazione in contemporanea mondiale del Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2020 ‘Contro la mia volontà. Affrontare le pratiche dannose per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere’. In particolare, ricorda Cutillo, “se il ritardo nella realizzazione dei programmi che riguardano la lotta alle Mgf si protrae per due anni, avremo nei prossimi dieci anni almeno 2 milioni ulteriori di donne e ragazze che subiranno Mgf. Ancor più drammatico il numero dei matrimoni precoci”, per cui se ci sarà “un ritardo di un anno nella realizzazione dei programmi nei prossimi dieci anni si avrà una crescita di almeno 13 milioni aggiuntivi, oltre alla crescita regolare”.
Numeri che Cutillo definisce “impressionanti”, tra gli elementi su cui fa riflettere il Rapporto, importante per altri due ordini di motivi. Il primo è mettere in evidenza che “centinaia di migliaia di donne e ragazze ogni giorno subiscono violazioni e danni fisici e psicologici irreparabili”. Pratiche che vengono avallate da famiglie o persone amiche “con buone intenzioni”, che hanno radice “nella mancanza di eguaglianza di genere e vengono usate per controllare la sessualità e il desiderio sessuale delle ragazze. Non conoscono confini geografici”, ricorda Cutillo, che nel contrasto sottolinea l’importanza dell’istruzione: “In 15 Paesi sub-sahariani ogni anno aggiuntivo di scuola riduce significativamente l’impatto sia delle Mgf sia dei matrimoni precoci. Mentre l’incidenza dei matrimoni precoci per le ragazze è un 47% nel caso in cui le ragazze non abbiano avuto accesso a nessun tipo istruzione” questa percentuale “si riduce progressivamente arrivando al 4% quando le ragazze hanno accesso all’istruzione post-secondaria”. Altro motivo di importanza del Rapporto è che “stiamo parlando di violazione dei diritti umani, non di quella che si definisce ‘soft law’, ‘strumenti raccomandatori’. Stiamo parlando di violazione di strumenti che sono considerati obbligatori- sottolinea Cutillo- La Convenzione dei diritti dell’infanzia prevede che gli Stati debbano assumere tutte le misure necessarie per proteggere i minori di 18 anni da queste pratiche. Ratificare un trattato significa per un Paese obbligarsi ad adeguare la propria legge nazionale e a mettere in pratica le previsioni di quella convenzione. Le cifre citate nel Rapporto – conclude alla Dire (www.dire.it) – dimostrano purtroppo il contrario”.