Diabete, con dapagliflozin nuove prospettive di cura anche a livello cardiovascolare e renale secondo un nuovo studio appena presentato
Ai farmaci antidiabetici oggi si chiede sempre di più e non solo il controllo della glicemia. Per alcuni dei nuovi farmaci ci sono prove documentate di riduzione degli eventi cardiovascolari, di un’azione positiva sulla filtrazione glomerulare, addirittura, di poter prevenire il diabete nelle situazioni di persone a rischio con pre diabete.
Quest’ultimo dato in particolare, si riferisce a uno studio sul dapagliflozin, un anti SGLT-2, presentato al congresso dell’American Diabetes Association che si è appena concluso e Pharmastar ne ha parlato con la dottoressa Olga Eugenia Disoteo, diabetologa Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano.
Dottoressa incominciamo sull’ultimo dato, quello sulla prevenzione del diabete osservata in uno studio che si chiama DAPA HF. Ce lo spiega?
Nel trial DAPA-HF, dapagliflozin ha ridotto il peggioramento dell’insufficienza cardiaca e la morte per cause cardiovascolari in 4744 pazienti con scompenso e ridotta frazione di eiezione. Il 55% dei soggetti inseriti nello studio non era affetta da diabete mellito tipo 2. In un’analisi esplorativa prespecificata dello studio, si è voluto analizzare se dapagliflozin avesse ridotto l’insorgenza di diabete nei soggetti senza patologia diabetica. Il risultato è stato che il trattamento con dapagliflozin 10 mg ha ridotto il rischio di insorgenza di diabete mellito del 32%. Dei 2.605 partecipanti senza diabete 157 hanno sviluppato diabete, 93 soggetti in trattamento con placebo, 64 in trattamento con dapagliflozin. La cosa interessante è che il farmaco al basale non ha indotto riduzione significativa nei livelli di emoglobina glicata, scongiurando l’effetto mascheramento sempre possibile in studi di questo tipo, come sottolineato da prof Inzucchi tra gli estensori del lavoro.
I soggetti che hanno maggiormente beneficiato della protezione di dapagliflozin sullo sviluppo di diabete sono stati i pazienti con età pari o inferiore a 65 anni nei quali la riduzione del diabete è stata del 56%, e coloro che grazie al trattamento con il farmaco attivo hanno avuto maggior riduzione dell’NT pro BNP .
Purtroppo nulla sappiamo sulla durata di questo beneficio nel tempo e neanche se questi effetti siano o meno collegati tra loro.
Lo stesso studio, giudicato tra i più importanti in assoluto dello scorso anno aveva già dato un forte messaggio a livello cardiovascolare. Ce ne parla?
Lo scorso maggio l’Fda ha approvato l’impiego di dapagliflozin per il trattamento dell’insufficienza cardiaca con ridotta frazione di eiezione, anche nelle persone senza diabete, sulla base proprio dei risultati dello studio DAPA HF. Ma quali sono stati i motivi di questa approvazione?
Il 50% dei pazienti con scompenso cardiaco vanno incontro a morte entro 5 anni dalla diagnosi. Lo studio DAPA HF è stato il primo studio clinico condotto con un inibitore SGLT2 per valutare il trattamento dello scompenso cardiaco in aggiunta allo standard di cura, in una popolazione di pazienti con classe NYHA II – IV con e senza diabete di tipo 2: Dapagliflozin ha dimostrato di essere efficace nel migliorare la prognosi e la qualità di vita dei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione ridotta.
I risultati dello studio DAPA HF hanno mostrato che dapagliflozin in aggiunta allo standard di cura riduce significativamente del 26% il rischio di endpoint composito primario determinato da morte per causa cardiovascolare (CV) o peggioramento dello scompenso cardiaco (definito come ricovero ospedaliero o necessità di una visita urgente) rispetto al placebo. I risultati hanno inoltre dimostrato una riduzione in ognuno dei singoli componenti dell’endpoint composito. E’ stata infatti raggiunta una riduzione significativa del 30% del rischio di manifestazione di un primo episodio di peggioramento dello scompenso cardiaco e una riduzione del 18% del rischio di decesso per cause cardiovascolari. L’effetto di dapagliflozin sull’endpoint composito primario si è dimostrato coerente in tutti i sottogruppi analizzati. Cosa di non poco conto è stato il significativo miglioramento degli outcomes clinici riportati dai pazienti misurati attraverso il punteggio della sintomatologia del Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire, per intenderci il miglioramento della soggettività e dei sintomi riferiti dai pazienti che significa migliore qualità di vita e maggiori possibilità di sentirsi bene. Da non dimenticare infine la riduzione significativa della mortalità per tutte le cause del 17% a favore dei pazienti in trattamento con dapagliflozin.
Passiamo a un altro studio sullo stesso farmaco presentato al congresso americano, lo studio DECLARE, che ha dato forti evidenze di protezione a livello renale. Ce ne parla?
Nello studio Declare sono stati valutati 17.160 pazienti, di cui 10.186 senza malattia cardiovascolare aterosclerotica accertata, seguiti per una mediana di 4,2 anni. Nella analisi per l’outcome primario di sicurezza, dapagliflozin ha soddisfatto il criterio prespecificato per la non inferiorità rispetto a placebo per i MACE e ha ridotto il tasso di mortalità cardiovascolare o ospedalizzazione per scompenso cardiaco Sia gli eventi avversi che gli eventi avversi severi sono stati minori nei soggetti in trattamento con dapagliflozin rispetto a quelli in trattamento con placebo.
I Punti di forza dello studio DECLARE sono la casistica, particolarmente ampia, oltre 17.000 pazienti, il follow-up di quasi 5 anni, il coinvolgimento di 33 nazioni, tra cui l’Italia e l’aver incluso una popolazione di pazienti particolarmente rappresentativi della pratica clinica ambulatoriale, visto che circa il 60% dei pazienti inclusi erano senza patologia cardiovascolare al basale.
Il beneficio clinico dimostrato sullo scompenso cardiaco associato all’eccellente profilo di sicurezza e tollerabilità è di particolare importanza, considerato anche che in Italia lo scompenso cardiaco è la prima causa di ricovero.
Al convegno americano sono stati presentati i risultati riguardanti l’ end point renale composito: declino di almeno il 40% della funzione renale, malattia renale terminale, morte per cause renali o cardiovascolari. Il gruppo in trattamento con dapagliflozin ha dimostrato una significativa riduzione di rapido declino della funzione renale indipendentemente dalla funzione renale di partenza e dalla presenza o meno di malattia cardiovascolare. La conclusione degli autori è che non solo l’impiego di dapagliflozin costituisce un’importante opzione per la prevenzione della malattia renale cronica ma costituisce anche una strategia terapeutica nei pazienti affetti da diabete mellito tipo 2 con malattia renale cronica.
Quali sono le applicazioni pratiche di questi dati? Che prospettive di cura si aprono?
Le applicazioni pratiche veramente tante e tutte molte interessanti dall’assodato trattamento del diabete mellito tipo 2 alla prevenzione delle complicanze cardio renali nei pazienti con diabete ma anche alla cura dei pazienti con scompenso cardiaco o con malattia renale cronica senza diabete. Insomma tanta speranza non solo per curare ma anche per prevenire e forse rallentare l’incremento costante e apparentemente inarrestabile fino ad ora del diabete mellito tipo 2, ma anche delle malattie degenerative del miocardio e del rene.