Il vino in cartone non è più tabù per gli italiani: le vendite sono salite del +8,8%, che diventa addirittura del +36,8% per quelle dei Bag in Box
Durante il lockdown, gli italiani hanno comprato il +76% di camomilla in più rispetto all’anno precedente. Ma hanno anche fatto lievitare le vendite di vino del +7,9% in volume e del +6,9% in valore nella GDO, secondo dati di Vinitaly e della società di analisi di mercato Iri calcolati dal primo gennaio al 19 aprile.
Ma c’è un dato che viene segnalato, la percentuale della crescita rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente delle vendite di vino in cartone, salite del +8,8%, che diventa addirittura del +36,8% per quelle dei Bag in Box. Benedetto Marescotti, marketing manager di Caviro, la più grande cooperativa vinicola italiana che ha creato il Tavernello, sostiene che «durante il coronavirus si viveva in casa e si consumava vino solo lì. Si faceva l’aperitivo in via telematica, magari si beveva un bicchiere in più tanto si restava a casa, un po’ lo si usava per cucinare».
Va anche aggiunto, spiega Garantitaly, che nelle settimane centrali del lockdown, le vendite di vino in brick sono aumentate del +15-20%, mentre sono diminuite nella stessa percentuale quelle di spumante.
Per gli italiani, il vino in cartone ha in generale una immagine ‘industriale’, di scarsa qualità e poco prezzo. In Italia nacque negli anni Ottanta. A quei tempi il vino si comprava sfuso nelle cantine, in damigiane che poi si imbottigliava a casa: si bevevano circa 120 litri a testa all’anno, cioè circa mezzo litro di vino al giorno; nel 2000 erano circa 55 litri, oggi il consumo è di non più di 30-33 litri.
È nell’aprile del 1983 che Caviro fondò un nuovo marchio di vino in Tetra Pak e lo chiamò Tavernello: oggi per il vino in cartone è in corso un cambiamento simile a quello avvenuto per la birra in lattina qualche anno fa, quando passò dall’essere considerata sinonimo di birra industriale a venire utilizzata per quelle artigianali.