Malattia di Parkinson ed effetto anti-glutammatergico di safinamide dimostrato da uno studio neurofisiologico pubblicato su “Brain Stimulation”
Uno studio neurofisiologico italiano, pubblicato su “Brain Stimulation”, ha fornito per la prima volta la dimostrazione di un effetto anti-glutammatergico di safinamide in vivo, a livello dell’area motoria primaria (M1) di pazienti affetti da malattia di Parkinson (PD). I risultati hanno dimostrato che tale effetto, evidente già al dosaggio di 50 mg/die, è particolarmente pronunciato con il dosaggio di 100 mg/die.
«Una delle strategie terapeutiche attualmente utilizzate per aumentare la concentrazione di dopamina nello spazio sinaptico è l’inibizione dell’enzima MAO-B, fisiologicamente implicato nella degradazione di tale neurotrasmettitore» ricordano gli autori, guidati da Andrea Guerra, IRCCS Neuromed, Pozzilli (IS).
Safinamide è un nuovo farmaco recentemente approvato da EMA ed AIFA come terapia in add-on a levodopa per il trattamento di pazienti affetti da PD che presentano fluttuazioni. Questo farmaco è caratterizzato da un duplice meccanismo d’azione, spiegano i ricercatori: uno di tipo dopaminergico, secondario a inibizione selettiva e reversibile del sistema enzimatico MAO-B, e uno di tipo anti-glutammatergico, mediato da un blocco dei canali del Na+ voltaggio-dipendenti.
«Tuttavia» fanno notare gli autori «l’effetto anti-glutammatergico di safinamide era stato dimostrato esclusivamente in vitro e in modelli animali; inoltre, non è noto se tale meccanismo d’azione operi alla dose di 50 e/o 100 mg/die nell’uomo». Pertanto, con questo studio Guerra e colleghi hanno inteso verificare l’effetto di safinamide in vivo, in pazienti affetti da PD attraverso l’utilizzo di metodiche neurofisiologiche non invasive.
Utilizzati protocolli di stimolazione magnetica transcranica
«Lo studio ha impiegato una metodica standardizzata in ambito neurofisiologico, la stimolazione magnetica transcranica (TMS)» spiegano gli autori. «Dopo l’erogazione di uno stimolo TMS sulla M1 (area motoria primaria), si osserva una risposta muscolare nell’arto controlaterale all’area corticale stimolata, chiamata potenziale evocato motorio (MEP). L’ampiezza di tale potenziale è il parametro tipicamente misurato per valutare il funzionamento di M1».
Nello studio sono stati utilizzati diversi paradigmi TMS che consentono di esplorare la trasmissione glutammatergica a livello dell’area motoria primaria. In particolare, con la TMS a singolo stimolo è stata studiata la cosiddetta “curva di reclutamento” (input/output curve, I/O). «Tale curva, dal tipico aspetto sinusoidale, permette di caratterizzare la risposta dell’area motoria primaria a progressivi aumenti di intensità di stimolazione magnetica, e riflette il grado di eccitabilità globale del sistema cortico-spinale» affermano i ricercatori.
«Oltre alla TMS a singolo stimolo» continuano «sono stati utilizzati protocolli basati sull’erogazione di un doppio stimolo di TMS (paired pulse TMS o ppTMS). In questo caso l’ampiezza del MEP dipende dall’effetto condizionante del primo stimolo (conditioning stimulus – CS) sul secondo impulso erogato (test stimulus – TS). Tali effetti sono influenzati dall’intensità della stimolazione magnetica transcranica e dalla durata dell’intervallo tra i due stimoli (intervallo interstimolo – ISI)».
Sono stati utilizzati tre protocolli di ppTMS ben standardizzati:
1) SICI (Short interval IntraCortical Inhibition), protocollo TMS inibitorio in cui l’erogazione di due stimoli ad un breve intervallo (ISI 3 msec), produce una soppressione della risposta muscolare (MEP), attraverso l’attivazione di circuiti GABA-ergici intracorticali.
2) ICF (IntraCortical Facilitation), protocollo TMS facilitatorio in cui l’erogazione di due stimoli ad ISI di 10 msec è in grado di aumentare l’ampiezza del MEP, attraverso l’attivazione di specifici circuiti glutammatergici intracorticali.
3) SICF (Short interval IntraCortical Facilitation), protocollo TMS di facilitazione intracorticale a breve intervallo, in cui si osservano picchi di facilitazione del MEP quando si erogano coppie di stimoli a specifici ISI, in particolare 1,5 e 3 msec. La SICF è nota per riflettere l’attivazione di specifici circuiti glutammatergici in M1, differenti da quelli che si esaminano con la ICF.
Tre sessioni sperimentale previste dal disegno dello studio
Lo studio è stato condotto su 20 pazienti affetti da Pd (6 femmine), dell’età media di 67,4 anni, con una durata media di malattia di 10,9 anni. Sono stati studiati inoltre 20 individui sani di età e sesso comparabile, come soggetti di controllo.
L’esame clinico dei pazienti ha incluso la valutazione motoria mediante la scala UPDRS parte III, la stadiazione della malattia mediante la scala Hoehn & Yahr, la valutazione dell’intensità delle LID con la UDysRS parte III (Unified Dyskinesia Rating Scale).
La valutazione del quadro cognitivo è stata eseguita con la scala MMSE (Mini-Mental State Examination) e la FAB (Frontal Assessment Battery) per escludere in particolare sindromi disesecutive. La valutazione dell’umore è stata eseguita con la BDI-II (Beck Depression Inventory). È stato inoltre quantificato il carico dopaminergico globale espresso in LEDD (dose equivalente giornaliera di L-dopa). Tutti I pazienti sono stati reclutati dal Dipartimento di Neuroscienze Umane della Sapienza Università di Roma.
Il disegno dello studio ha previsto tre sessioni sperimentali: T0 (sessione basale, in cui i pazienti non assumevano safinamide), T1 (condotta dopo 2 settimane di assunzione cronica di safinamide al dosaggio di 50 mg/die, per assicurare il blocco del sistema enzimatico MAO-B) e T2 (condotta dopo 2 settimane di assunzione cronica di safinamide al dosaggio di 100 mg/die, in modo da mantenere il blocco enzimatico MAO-B ed avere l’ipotetico effetto antiglutammatergico). In tutte le sessioni sperimentali il paziente è stato accolto in laboratorio in condizione clinica di OFF.
Dopo la valutazione clinica con le differenti scale, il disegno sperimentale ha previsto la valutazione neurofisiologica, iniziando dalla misurazione di parametri di base e procedendo poi con la registrazione delle misure TMS a singolo e doppio stimolo, allo scopo di studiare la trasmissione glutammatergica nell’area motoria primaria.
Dopo tali valutazioni, il paziente ha assunto la dose abituale di L-DOPA. Una volta osservato il passaggio alla condizione clinica di ON, è stata nuovamente effettuata la valutazione UPDRS-III. Inoltre, è stata quantificata l’intensità delle LID attraverso la scala UDysRS-III. Infine, la sessione sperimentale ha previsto la ripetizione delle valutazioni neurofisiologiche mediante l’utilizzo dei diversi paradigmi TMS.
Dimostrate anomalie di base della trasmissione glutammatergica nel PD
In termini di parametri clinici, «nei pazienti in condizione clinica di OFF, safinamide ha prodotto un miglioramento dell’UPDRS-III sia alla dose di 50 mg/die che di 100 mg/die. » riportano gli autori. «Tale miglioramento clinico è stato riscontrato anche nei pazienti in stato clinico di ON, a entrambe le dosi utilizzate».
«Questo miglioramento è compatibile con l’aumento della stimolazione dopaminergica di base dovuto all’inibizione del sistema enzimatico MAO-B» aggiungono. «Inoltre, safinamide non ha prodotto un aumento significativo dell’intensità delle LID».
Riguardo ai dati neurofisiologici, questi hanno dimostrato che il PD si associa ad anomalie di base della trasmissione glutammatergica. In particolare, riportano Guerra e colleghi, il confronto tra pazienti in OFF a T0 e soggetti sani ha evidenziato una curva di reclutamento più ripida nei pazienti parkinsoniani e un significativo incremento della SICF, evidente ad ISI 1,5 e 3 msec, sebbene chiaramente più marcato al primo intervallo considerato.
«Durante l’assunzione cronica di safinamide, i vari parametri TMS considerati sono risultati sovrapponibili in OFF ed in ON, indipendentemente dal dosaggio utilizzato» proseguono i ricercatori. «Safinamide ha ridotto la pendenza della curva di reclutamento in maniera comparabile a 50 e 100 mg/die, senza tuttavia modificare SICI e ICF».
Un importante risultato sperimentale, sottolineano, consiste nella modulazione della SICF da parte di safinamide in maniera dose-dipendente, riducendo l’abnorme facilitazione presente di base nel PD. In particolare, sebbene tale effetto fosse già presente al dosaggio di 50 mg/die, esso è risultato ancor più evidente al dosaggio di 100 mg/die e ad ISI di 1,5 msec.
«In tali condizioni sperimentali, infatti, non vi era più alcuna differenza rispetto alla popolazione di soggetti sani» sottolineano. «Dato che la SICF riflette l’attività di specifici circuiti intracorticali glutammatergici nella M1, la normalizzazione di tale parametro neurofisiologico in pazienti trattati con safinamide alla dose di 100 mg/die è ragionevolmente attribuibile alla proprietà anti-glutammatergica del farmaco a tale dosaggio».
«Un ulteriore importante dato sperimentale dello studio consiste nella correlazione positiva tra l’effetto di safinamide 100 mg/die sulle alterazioni della SICF e quello sull’intensità delle LID» osservano. «In particolare, quanto più il farmaco ha migliorato l’alterazione glutammatergica misurata con la SICF, tanto più è stato riscontrato un miglioramento clinico delle LID». Le proprietà combinate dopaminergiche e anti-glutammatergiche del farmaco possono spiegare anche il miglioramento dell’umore, testato con la scala BDI-II.
In conclusione
«I pazienti con PD e LID hanno un’anomala facilitazione corticale, probabilmente indicativa di un’iperattiva neurotrasmissione glutammatergica in circuiti specifici della M1» scrivono gli autori. «Sebbene non sia responsiva alla L-DOPA, questa disfunzione è recuperata dalle proprietà anti-glutammatergiche di safinamide 100 mg».
«Questi risultati» aggiungono «suggeriscono che l’anomala facilitazione corticale in M1 contribuisca alla fisiopatologia delle LID» ed evidenziano le potenzialità terapeutiche aggiuntive di safinamide rispetto ad altri inibitori delle MAO-B.