Teleangectasia emorragica ereditaria, rivoluzione in arrivo nella cura: bevacizumab dimostra grande efficacia
L’anticorpo monoclonale anti-VEGF bevacizumab si è dimostrato altamente efficace nel trattamento della teleangectasia emorragica ereditaria (HHT), un disturbo raro e progressivo dell’angiogenesi per il quale non esistono attualmente terapie approvate, con miglioramenti notevoli dell’emoglobina, della gravità dell’epistassi e del fabbisogno di trasfusioni di globuli rossi e di infusioni di ferro.
Il dato proviene dallo studio InHIBIT-Bleed, i cui risultati sono stati presentati nell’ambito dell’edizione virtuale del 25° congresso dell’Associazione Europea di Ematologia (EHA).
Proseguendo il trattamento con bevacizumab anche dopo la fase di induzione, il beneficio è risultato duraturo e il farmaco si è dimostrato sicuro e ben tollerato.
«Questo è il più grande studio su una terapia anti-angiogenica condotto fino ad oggi in pazienti con teleangectasia emorragica ereditaria» ha dichiarato in un’intervista Hanny Al-Samkari, del Massachusetts General Hospital e della Harvard Medical School di Boston. «Data la sorprendente efficacia osservata nello studio InHIBIT-Bleed, oltre al fatto che non ci sono farmaci approvati dalla Food and Drug Administration per trattare le manifestazioni della teleangectasia emorragica ereditaria, tra cui le emorragie, ci aspettiamo che questi risultati sanciranno il ruolo di bevacizumab come una chiara opzione di trattamento standard per i sanguinamenti associati all’HHT moderata-grave» ha sottolineato Al-Samkari.
La teleangectasia emorragica ereditaria
Con una prevalenza di 1 su 5000, la teleangectasia emorragica ereditaria (nota anche come malattia di Osler-Weber-Rendu), è il secondo disturbo emorragico ereditario più comune al mondo, con una prevalenza che è circa il doppio di quella dell’emofilia A e sei volte quella dell’emofilia B.
La malattia è un disturbo dell’angiogenesi che causa malformazioni delle giunzioni tra arterie e vene: dilatazioni arterovenose, a causa delle quali i pazienti con HHT sono soggetti a emorragie gastrointestinali croniche e in progressivo peggioramento e a gravi emorragie nasali ricorrenti (epistassi), con conseguente anemia cronica, spesso accompagnata da una grave carenza di ferro. Di conseguenza, i pazienti affetti da questa patologia spesso dipendono da trasfusioni di sangue o infusioni di ferro regolari (settimanali o mensili) per mantenere l’emocromo a livelli di sicurezza.
Le tare genetiche sottostanti che causano l’HHT provocano un aumento dei livelli del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF). Pertanto, i farmaci esistenti diretti contro il VEGF, gli anti-angiogenici, possono essere efficaci nel trattamento dell’HHT.
Attualmente, tuttavia, non esiste una terapia specifica per l’HHT approvata dalle agenzie regolatorie.
Lo studio InHIBIT-Bleed
Lo studio InHIBIT-Bleed multicentrico internazionale, di tipo retrospettivo, che ha coinvolto 238 pazienti con HHT (età media 63 anni: range 29-91), che presentavano emorragie da moderate a gravi. La fonte primaria delle emorragie era l’epistassi nel 42% dei casi, l’emorragia gastrointestinale nel 19% o entrambe, nel 39%.
I partecipanti sono stati reclutati in 12 centri specializzati nel trattamento dell’HHT e trattati con infusioni di bevacizumab per una mediana di 12 mesi (range: 1-96 mesi), ricevendo una mediana di 11 (range 1-74) infusioni di bevacizumab.
In questi pazienti, i ricercatori hanno valutato i livelli di emoglobina, il punteggio di gravità dell’epistassi (ESS, un punteggio di sanguinamento ben validato, con una scala a 10 punti, utilizzato nell’HHT), il fabbisogno di trasfusioni di globuli rossi e il fabbisogno di infusioni di ferro prima e dopo il trattamento con bevacizumab.
Miglioramento dell’emoglobina e riduzione dell’epistassi con bevacizumab
Rispetto a valori pre-trattamento, l’anti-angiogenico ha portato a un aumento medio dell’emoglobina di 3,2 g/dl (da 8,6 g/dl a 11,8 g/dl), a una riduzione media di 3,4 punti del punteggio ESS (ESS medio da 6,8 a 3,4; P < 0,0001), che si è quindi quasi dimezzato, durante il primo anno di trattamento.
«La differenza minima clinicamente importante nel punteggio di ESS, secondo quanto stabilito dagli studi precedenti, è una riduzione di 0,71 punti, quindi la riduzione media di 3,4 punti osservata nel nostro studio è circa 4,75 volte la differenza minima clinicamente importante» ha sottolineato Al-Samkari.
Inoltre, rispetto ai 6 mesi di pretrattamento, il fabbisogno di trasfusioni di globuli rossi è diminuito dell’82% (mediana di 9,0 unità contro 0 unità, P < 0,0001) durante i primi 6 mesi di terapia con bevacizumab, e il fabbisogno di infusioni di ferro è diminuito del 70% (mediana di 8,0 infusioni contro 2,0 infusioni, P < 0,0001).
Le analisi sui sottogruppi hanno evidenziato l’assenza di differenze significative nell’efficacia del bevacizumab a seconda della gravità della malattia e i risultati sono stati simili indipendentemente dalla sottostante mutazione genica patogena (ENG vs ACVRL1).
Dopo le infusioni iniziali di induzione (4-6 infusioni of bevacizumab 5 mg/kg soministrato ogni 2 settimane, una terapia di mantenimento continuativa/schedulata (somministrata ogni 4-12 settimane) è risultata associata a valori di emoglobina leggermente più alti e a punteggi ESS più bassi rispetto all’approccio alternativo, basato su un mantenimento intermittente/al bisogno (somministrato in caso di recidiva dei sintomi emorragici e o della carenza di ferro); il mantenimento continuativo, tuttavia, ha comportato una maggiore esposizione al farmaco.
Bevacizumab ben tollerato
Nello studio, bevacizumab è risultato ben tollerato. Il 38% dei pazienti ha sviluppato eventi avversi, tra cui ipertensione (18%), affaticamento (10%), proteinuria (9%) e mialgia/artralgia (6%).
Solo il 5% dei partecipanti ha dovuto interrompere il trattamento a causa di qualche evento avverso e non vi sono stati eventi avversi fatali.
«L’effetto del trattamento con bevacizumab» ha spiegato Al-Samkari «è stato che il 67% dei pazienti anemici al basale ha raggiunto l’assenza di anemia e il 92% di quelli trattati per l’epistassi ha ottenuto una riduzione clinicamente significativa del punteggio ESS».
Inoltre, ha aggiunto il professore, «l’80% dei pazienti che aveva bisogno di trasfusioni di globuli rossi nei 6 mesi precedenti il trattamento con bevacizumab ha raggiunto l’indipendenza trasfusionale dopo 6 mesi di trattamento; allo stesso modo, il 61% dei pazienti richiedeva infusioni di ferro nei 6 mesi pre-trattamento con bevacizumab ha raggiunto l’indipendenza dalle infusioni di ferro dopo 6 mesi di trattamento».
Nessun trattamento approvato dalle agenzie regolatorie
In assenza di un trattamento per l’HHT approvazione degli enti regolatori, per molti decenni lo standard di cura è stato rappresentato da procedure emostatiche locali, tra cui la coagulazione mediante argon-plasma per le teleangectasie del tratto gastrointestinale o i trattamenti di cauterizzazione laser per le teleangectasie nasali. La coagulazione mediante argon-plasma è un sistema che consente di “bruciare”, durante l’esame endoscopico, piccoli polipi, tessuto tumorale residuo e piccoli vasi, sanguinanti nell’immediato o a rischio di sanguinamento futuro.
«Queste procedure spesso migliorano l’emorragia, ma non affrontano la patofisiologia di base della malattia, come invece fa un agente anti-angiogenico sistemico quale bevacizumab, per cui i loro effetti di solito svaniscono dopo pochi mesi e il paziente torna ad avere le emorragie» ha spiegato Al-Samkari.
In alcuni casi gravi di epistassi ricorrente, i pazienti possono ricorrere a una procedura di chiusura nasale, «che può sacrificare il loro senso del gusto, l’olfatto e la capacità di respirare attraverso il naso per far cessare l’emorragia» ha aggiunto il professore.
Bevacizumab da considerare come nuovo standard
«Dato che il nostro studio ha mostrato che bevacizumab è sicuro ed efficace nel trattamento delle emorragie nasali e gastrointestinali associate all’HHT, l’anti-angiogenico si confronta chiaramente in modo piuttosto favorevole con gli interventi procedurali» ha rimarcato l’autore. Anche se lo studio non includeva valutazioni della qualità della vita, Al-Samkari ha riferito di averle osservate in prima persona: «I pazienti con teleangectasia emorragica ereditaria che ho trattato con bevacizumab in molti casi hanno affermato che la loro vita è cambiata nettamente in meglio dopo aver iniziato la terapia con questo agente». In conclusione, bevacizumab per via endovenosa può essere considerato un’opzione di trattamento standard per i pazienti affetti da HHT che presentano sanguinamenti moderati o gravi.