Malattia di Pompe: sono positivi i primi risultati di Fase III con avalglucosidasi alfa. La terapia enzimatica mostra di migliorare la funzionalità dei muscoli respiratori e le capacità motorie dei pazienti
Contro la malattia di Pompe un aiuto ulteriore potrebbe arrivare da avalglucosidasi alfa, una nuova terapia enzimatica sostitutiva in sviluppo per la patologia. I risultati preliminari di un trial clinico di Fase III, infatti, indicano che questo farmaco sperimentale induce un miglioramento, rispetto alla terapia enzimatica già in uso, sia nella funzionalità dei muscoli respiratori sia nelle capacità motorie dei pazienti. I dati sul nuovo trial, appena presentati dall’azienda Sanofi, riguardano quasi 100 partecipanti con malattia di Pompe a esordio tardivo (dopo il primo anno di vita) di grado lieve o moderato, provenienti da 20 Paesi di tutto il mondo.
Il farmaco
Ma come agisce avalglucosidasi alfa? Bisogna premettere che la malattia di Pompe rientra fra le patologie da accumulo lisosomiale, in cui il difetto di un enzima determina un accumulo di una sostanza – il glicogeno – nelle cellule, causando un danno concentrato soprattutto a livello dei muscoli degli arti e respiratori, ma diretto anche ad altri organi e apparati, fra cui il cuore, il sistema nervoso centrale e quello vascolare. Avalglucosidasi alfa è una terapia enzimatica sostitutiva che punta a migliorare la penetrazione dell’enzima nelle cellule dei muscoli, in particolare di quelli scheletrici, e a favorire lo smaltimento del glicogeno dai tessuti coinvolti.
Miglioramenti nella capacità vitale forzata
L’obiettivo principale del trial clinico COMET, di Fase III, era di valutare gli effetti della terapia con avalglucosidasi alfa sulla funzionalità dei muscoli respiratori e di osservare un eventuale mantenimento o miglioramento della capacità respiratoria del paziente con malattia di Pompe. Nel trial, l’analisi ha riguardato la capacità vitale forzata in posizione eretta, cioè il volume totale di aria che si riesce a espirare dopo aver inspirato al massimo. “In questo caso, il miglioramento con avalglucosidasi alfa è stato in media di circa il 3% rispetto al trattamento in uso con alglucosidasi alfa”, ha spiegato Antonio Toscano, professore ordinario di Neurologia presso l’Università degli Studi di Messina e responsabile del Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Neuromuscolari Rare presso l’A.O.U. Policlinico “G. Martino” di Messina. “Il dato è positivo e permette di dire che i risultati del nuovo farmaco sono superiori al precedente, anche se, in considerazione dei dati sperimentali preliminari, ottenuti da studi su modelli animali e su mioblasti (cellule muscolari umane), le aspettative erano più elevate”.
Camminare di più
Ma c’è un altro elemento di rilievo: i pazienti trattati con avalglucosidasi alfa sono riusciti a camminare mediamente di più rispetto a quelli sottoposti all’attuale terapia standard con alglucosidasi alfa. Per osservarlo, i ricercatori hanno coinvolto i pazienti nel test del cammino in 6 minuti (6-minute walk test, 6MWT), in cui si misura la distanza che una persona riesce a coprire camminando per sei minuti. Questa valutazione rappresentava l’endpoint secondario, cioè l’obiettivo secondario, del trial COMET. L’esito è stato sicuramente positivo: i risultati, infatti, mostrano che i pazienti sono riusciti a camminare in media per 30 metri in più rispetto al gruppo di controllo. “Consideriamo che in sei minuti un soggetto sano percorre circa 450-500 metri – sottolinea Toscano – mentre nei pazienti con malattia di Pompe la distanza coperta è inferiore, dato il grave deficit di forza muscolare che colpisce soprattutto gli arti inferiori: quando la malattia è di grado moderato riescono a camminare per circa 200-300 metri, mentre nelle forme maggiormente invalidanti possono percorrere in media da 80 a 150 metri. In questo scenario, riuscire ad aumentare di 30 metri il percorso medio del paziente è un risultato di rilievo, che indica come il nuovo farmaco possa rappresentare un’alternativa ancora più efficace”. In un’analisi aggiuntiva, poi, i ricercatori hanno studiato la risposta di pazienti che hanno cambiato terapia in corso d’opera, passando da alglucosidasi alfa ad avalglucosidasi alfa. “Anche in questo caso c’è stato un importante miglioramento – aggiunge Toscano – soprattutto nel test del cammino, dato che i partecipanti hanno percorso in media più di 23 metri in più”.
Il farmaco, inoltre, si è dimostrato sicuro. “È bene sottolineare che avalglucosidasi alfa ha un profilo di tollerabilità molto buono – precisa Toscano – con effetti collaterali finora veramente limitati”. La Food and Drug Administration (FDA) statunitense, l’ente che si occupa del controllo di farmaci e alimenti negli USA, ha conferito ad avalglucosidasi alfa la designazione di Breakthrough Therapy, il cui scopo è quello di accelerare la revisione di nuove terapie che, in base ai primi risultati sperimentali, mostrano di poter offrire maggiori vantaggi rispetto ai trattamenti già esistenti e in uso per una data malattia. “Attualmente, il trial clinico COMET è ancora in corso”, conclude Toscano. “Se tutto procederà come previsto, la sottomissione del dossier alle autorità regolatorie a livello mondiale è programmata per la fine del 2020 o l’inizio del 2021. Qualora il farmaco venga autorizzato per l’immissione in commercio dalle autorità internazionali, e dopo gli accordi dell’Agenzia Italiana del Farmaco, potrebbe arrivare ai pazienti intorno alla fine del 2022”.