Sindromi mielodisplastiche ad alto rischio: arrivano risultati incoraggianti per il farmaco sperimentale pevonedistat da uno studio di fase 2
L’aggiunta del farmaco sperimentale pevonedistat all’azacitidina migliora la sopravvivenza libera da eventi (EFS), aumenta i tassi di risposta completa e di indipendenza dalle trasfusioni, oltra a prolungare numericamente la sopravvivenza globale (OS) nei pazienti con sindromi mielodisplastiche ad alto rischio (HR-MDS) rispetto alla sola azacitidina, con un profilo di sicurezza simile.
È quanto emerge dai risultati dello studio di fase 2 Pevonedistat-2001, presentato al 25° meeting annuale dell’Associazione europea di ematologia (EHA), nel quale si è valutata appunto la combinazione pevonedistat più azacitidina in pazienti con leucemie rare, tra cui le sindromi mielodisplastiche ad alto rischio.
Pevonedistat è una piccola molecola somministrata per via endovenosa, first in class, che agisce come inibitore dell’enzima attivante la proteina NEDD8 (NAE) ed è sviluppato da Takeda.
Lo studio Pevonedistat-2001 è stato disegnato come un trial proof-of-concept per testare l’associazione del nuovo farmaco con l’ipometilante azacitidina in pazienti con HR-MDS, ma anche pazienti con leucemia mielomonocitica cronica ad alto rischio (HR-CMML) e leucemia mieloide acuta a bassa percentuale di blasti (LB-AML).
Per oltre un decennio. non ci sono stati progressi terapeutici significativi per le sindromi mielodisplastiche ad alto rischio e le opzioni terapeutiche attualmente disponibili offrono benefici limitati. Pevonedistat potrebbe essere la prima nuova opzione terapeutica per questi pazienti.
«È emozionante vedere risultati così incoraggianti nello studio Pevonedistat-2001, in particolare nell’HR-MDS, un tipo aggressivo di MDS associato a prognosi sfavorevole, riduzione della qualità di vita e maggiori probabilità di trasformazione in AML» ha detto il primo autore dello studio, Lionel Adès, dell’Hôpital Saint-Louis di Parigi. «L’aggiunta di pevonedistat all’attuale standard di cura in pazienti con HR-MDS ha raddoppiato i tassi di remissione completa, ha aumentato la durata della risposta e ha migliorato i risultati a lungo termine, con un profilo di sicurezza simile a quello della sola azacitidina, il che può soddisfare a un bisogno significativo per le persone che devono convivere con questa malattia».
Lo studio Pevonedistat-2001
Pevonedistat-2001 (NCT02610777) è uno studio multicentrico, internazionale di fase 2, randomizzato, controllato e in aperto, progettato per valutare la sicurezza e l’efficacia di pevonedistat in associazione con azacitidina rispetto all’azacitidina in monoterapia in pazienti con HR-MDS o HR-CMML, o LB-AML, che non erano candidabili al trapianto di cellule staminali e non erano stati trattati in precedenza con ipometilanti.
Il trial ha coinvolto 120 pazienti, assegnati in rapporto 1:1 al trattamento con pevonedistat 20 mg/m2 nei giorni 1, 3 e 5 più azacitidina 75 mg/m2 nei giorni 1–5, 8 e 9 o alla sola azacitidina in cicli di 28 giorni fino al manifestarsi di una tossicità inaccettabile, alla ricaduta, alla trasformazione in AML o alla progressione della malattia.
L’endpoint primario dello studio era l’OS, mentre gli endpoint secondari chiave comprendevano l’EFS, il tasso di risposta complessivo (ORR) e la sicurezza.
Prolungamento dell’OS e della EFS con pevonedistat
Anche se non si è raggiunta la soglia della significatività statistica per la differenza di OS fra i due gruppi, il trattamento con la combinazione pevonedistat più azacitidina si è associato a un’OS numericamente superiore rispetto alla sola azacitidina e a una tendenza verso un beneficio riguardo all’EFS, dove l’evento era il decesso o la trasformazione in AML.
Nella popolazione intention-to-treat (120 pazienti), l’OS mediana è risultata di 21,8 mesi nel braccio trattato con pevonedistat, contro 19,0 mesi in quello trattato con il solo impometilante (HR 0,802; P = 0,334), mentre l’EFS mediana è risultata rispettivamente di 21,0 mesi contro 16,6 mesi.
Risultati nel sottogruppo con HR-MDS
Nel sottogruppo di pazienti più numeroso, quello con HR-MDS, formato da 67 pazienti, l’OS è risultata di 23,9 mesi nel braccio trattato con pevonedistat contro 19,1 mesi nel braccio di confronto, mentre l’EFS mediana è risultata rispettivamente di 20,2 mesi contro 14,8 mesi con la sola azacitidina.
L’aggiunta di pevonedistat all’ipometilante ha permesso anche di migliorare i tassi di risposta; infatti, l’ORR è risultato del 79,3% con la combinazione dei due farmaci contro 56,7% con la sola azacitidina, mentre il tasso di CR è risultato rispettivamente del 51,7% contro 26,7% e la durata della risposta (DoR) mediana nel braccio è stata di rispettivamente 34,6 mesi contro 13,1 mesi.
Dei pazienti che al basale erano dipendenti da trasfusione di globuli rossi, quelli che hanno raggiunto l’indipendenza trasfusionale sono stati il 69,2% con pevonedistat più azacitidina contro il 50,0% con la sola azacitidina.
Risultati nei sottogruppi con LB-AML e HR-CMML
L’OS mediana nel sottogruppo di 36 pazienti con LB-AML è risultata di 23,6 mesi nel braccio assegnato alla combinazione con pevonedistat contro 16,0 mesi con la sola azacitidina.
Nel sottogruppo di 17 pazienti con HR-CMML, invece, le mediane sia di OS sia di EFS sono risultate a favore della sola azacitidina, il che potrebbe essere dovuto alle piccole dimensioni del campione e/o alla maggiore eterogeneità dei pazienti.
Aggiunta di pevonedistat non cambia il profilo di sicurezza
Nello studio, il profilo di sicurezza della combinazione con pevonedistat è risultato simile a quello della sola azacitidina e non ha portato a un aumento della mielosoppressione.
Gli eventi avversi più comuni di grado ≥3 in entrambi i bracci sono stati neutropenia (33% nel braccio sperimentale contro 27% nel braccio di confronto), neutropenia febbrile (26% contro 29%), diminuzione della conta dei neutrofili (21% contro 10%).
I decessi registrati durante lo studio sono stati il 9% nel gruppo trattato con la combinazione contro 16% in quello trattato con il solo ipometilante.
Già avviata la fase 3
Sulla base dei risultati positivi di questo studio, è già partito lo studio di fase 3 PANTHER (NCT03268954), nel quale si confronteranno gli stessi due trattamenti, pevonedistat più azacitidina verso la sola azacitidina, come terapia di prima linea, in circa 450 pazienti con HR-MDS, HR-CMML e AML, non idonei per il trapianto di cellule staminali o per la chemioterapia di induzione intensiva.
L’arruolamento è stato completato lo scorso autunno e il trial costituirà la base del dossier registrativo che sarà sottoposto agli enti regolatori a livello globale per chiedere l’approvazione di pevonedistat.
Come agisce pevonedistat
Pevonedistat (noto in precedenza con la sigla TAK-924/MLN4924) è il primo e il solo inibitore dell’enzima attivante NEDD8 (NAE) già dimostratosi attivo contro la leucemia mieloide acuta recidivante/refrattaria (AML).
Pevonedistat inibisce il NAE, producendo effetti chiave sulla via dell’ubiquitinazione. NEDD8 è una proteina simile all’ubiquitina che viene modificata e attivata in modo simile a quanto avviene nell’ubiquitinazione da reazioni enzimatiche parallele e sequenziali, che interagiscono e si coordinano all’interno della cellula in modo da modificare, spostare e degradare le proteine attraverso il proteasoma. L’azione di pevonedistat comporta l’interruzione della degradazione proteasomica di alcune proteine.
Il farmaco, in combinazione con azacitidina, ha mostrato di possedere attività antitumorale in studi preclinici e ha mostrato un’attività clinica incoraggiante, associata a una buona tollerabilità, in uno studio di fase 1 su pazienti con AML. Da qui il razionale per il proseguimento del suo sviluppo clinico.