Nuovo studio della terapia ormonale in menopausa ha scoperto che l’uso precedente di estrogeni equini coniugati (CEE) diminuiva sia l’incidenza del cancro al seno che la mortalità
Dati ripresi dalla Women’s Health Initiative
Per studiare ulteriormente gli esiti della Women’s Health Initiative (WHI) per quanto riguarda la terapia ormonale e il rischio di cancro al seno, i ricercatori hanno analizzato il follow-up a lungo termine di due studi randomizzati che hanno incluso 27.347 donne in postmenopausa senza cancro al seno e mammografie negative al basale.
La loro età media (SD) era di 63,4 (7,2) anni. Gli arruolamenti hanno avuto luogo dal 1993 al 1998; le partecipanti sono state contattate per il follow-up ogni 6 mesi fino al 2005 e ogni anno da allora in poi. I dati sulla mortalità sono stati raccolti dal follow-up e dal National Death Index.
Il primo studio ha incluso 16.608 donne con un utero. Tra queste donne, 8.506 hanno ricevuto 0,625 mg/giorno di CEE più 2,5 mg/giorno di MPA, e 8.102 ricevuto placebo. Il secondo studio ha incluso 10.739 donne che avevano avuto un’isterectomia, 5.310 delle quali hanno ricevuto 0.,625 mg/giorno di CEE da solo e 5.429 delle quali hanno ricevuto placebo.
Il primo studio si è concluso nel 2002 dopo un periodo di intervento mediano di 5,6 anni, il secondo si è concluso nel 2004 dopo un periodo di 7,2 anni. Un’analisi nel 2015 ha rilevato che i soli CEE erano associati a un minor rischio di cancro al seno mentre CEE più MPA erano associati a un aumento del rischio.
L’analisi attuale ha confermato che, dopo una mediana di 20,3 anni di follow-up, e con i dati sulla mortalità ora disponibili per oltre il 98% delle partecipanti, la sola terapia con CEE è stata associata a un minor numero di casi di cancro al seno (238 casi, tasso annualizzato 0,30%) rispetto al placebo (296 casi, tasso annualizzato 0,37%; rapporto di rischio 0,78; IC al 95% da –0,65 a -93; P = 0,005).
Inoltre, i CEE da soli sono stati associati anche a una mortalità più bassa (30 decessi, tasso di mortalità annualizzata 0,031%), rispetto al placebo (46 decessi, tasso di mortalità annualizzato 0,046%; HR 0,60; IC al 95% 0,37-0,97; P = 0,04).
In confronto, CEE più MPA sono stati collegati a un maggior numero di casi di cancro al seno (584 casi, tasso annualizzato 0,45%) rispetto al placebo (447 casi, tasso annualizzato 0,36%; HR 1,28; IC al 95% 1,13-1,45; P < 0,001). Per quanto riguarda la mortalità, non vi è stata alcuna differenza statisticamente significativa tra CEE più MPA (71 decessi, tasso di mortalità annualizzato 0,045%) placebo (53 decessi, tasso di mortalità annualizzato 0,035%; HR 1.35; 95% CI, 0,94-1,95; P = 0,011).
«La cosa più importante da pensare è che gli estrogeni da soli riducano la mortalità per cancro al seno del 40%» affermano Chlebowski e colleghi. “Nessuno degli altri interventi, incluso il tamoxifene, ha mostrato alcun cambiamento sulla mortalità. Questo dovrebbe cambiare il modo in cui guardiamo alla prevenzione del cancro al seno».
Il team ha anche messo in evidenza la completezza dei dati sulla mortalità, osservando che «quando ci si collega all’indice nazionale di morte, si trovano il 98% di tutti i decessi negli Stati Uniti. Ciò significa i nostri dati, tra l’indice di morte e il nostro follow-up delle partecipanti, sono sostanzialmente completi».
Complessa l’interpretazione degli outcomes a lungo termine, per gli editorialisti
Decenni dopo che i dati sono stati raccolti dagli studi clinici del WHI, questi continuano ad aiutare ricercatori e pazienti, scrivono Christina A. Minami, del Brigham and Women’s Hospital di Boston e Rachel A. Freedman, del Dana- Farber Cancer Institute di Boston, in un editoriale di accompagnamento.
Detto questo, per quanto riguarda i risultati di quest’ultima analisi, «rimangono ancora molte domande sul fatto che (e come) un intervento di terapia ormonale che si è verificato molti anni prima possa continuare a influenzare il rischio di cancro al seno e la mortalità a 20 anni» scrivono.
Gli editorialisti sostengono che è «impossibile» isolare il modo in cui l’esposizione a determinate terapie può influire sugli esiti a lungo termine e che un’alta percentuale di pazienti che hanno interrotto i farmaci durante ogni sperimentazione ha confuso ulteriormente l’interpretazione dei dati.
«La decisione di iniziare una terapia con questi farmaci rimane complessa» aggiungono, sottolineando che il rischio di cancro al seno è solo uno dei molti fattori che i medici devono considerare quando prendono in considerazione la terapia ormonale per le loro pazienti.
Chlebowski e coautori riconosciuto i limiti del loro studio, incluso l’uso di dosaggi molto specificamente somministrati e formulati che rendono i loro risultati «non necessariamente generalizzabili ad altri preparati». Inoltre, hanno fatto notare la percentuale significativa di pazienti – 54% con solo CEE e 42% con CEE più MPA – che hanno interrotto l’uso di farmaci durante i rispettivi studi.
Riferimenti
Minami CA, Freedman RA. Menopausal Hormone Therapy and Long-term Breast Cancer Risk: Further Data From the Women’s Health Initiative Trials. JAMA. 2020;324(4):347-349. doi:10.1001/jama.2020.9620 leggi