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Allarme del Wwf: l’Amazzonia rischia di sparire

ecuador

In 10 anni abbiamo perso una superficie di foresta amazzonica pari all’Italia e a luglio 2020, solo nell’Amazzonia brasiliana, gli incendi sono aumentati del 28%

Con l’attenzione dell’opinione pubblica concentrata sulla gravissima pandemia provocata dal Covid 19 rischia di passare in secondo piano un’altra grave emergenza, quella dei grandi incendi forestali, oggi sempre più frequenti e che sembrano destinare il 2020 ad una nuova stagione di fiamme e roghi, ancora più lunga e terribile rispetto a quella vissuta lo scorso anno.

A dimostrarlo è il nuovo report “Fuochi, foreste e futuro: Una crisi fuori controllo?” realizzato dal WWF, insieme al Boston Consulting Group (BCG), dove si scopre che già ad aprile, il numero di incendi segnalati in tutto il mondo- dall’Amazzonia all’Australia passando per la Russia – era aumentato del 13% rispetto allo scorso anno. I fattori principali sono il clima sempre più caldo e secco, dovuto al cambiamento climatico, e la deforestazione, quest’ultima causata principalmente dalla conversione dei terreni per l’agricoltura. L’espansione dell’agricoltura, la conversione delle foreste in piantagioni di alberi e in pascoli, la deforestazione illegale, infatti, continuano a guidare la conversione e il degrado degli ecosistemi naturali, aumentando così il rischio di incendi, che per il 75% sono responsabilità dell’uomo.

L’AMAZZONIA SULL’ORLO DEL PUNTO DI NON RITORNO

Ma per l’Amazzonia in particolare questo non sarà solo un altro anno di incendi. Negli ultimi 10 anni, sono stati persi circa 300.000 chilometri quadrati di foresta amazzonica, pari all’intera superficie dell’Italia. Nello steso arco di tempo sono stati tagliati, andati in fumo o degradati oltre 170.000 km quadrati di foresta primaria, quella più preziosa e ricca di biodiversità, la maggior parte della quale in Brasile. Il 2019 è stato l’anno horribilis degli incendi nel mondo, con 12 milioni di ettari (120.000 chilometri quadrati) di foresta amazzonica andati in fumo. Il tasso di deforestazione, però, è ancora in costante aumento nell’Amazzonia brasiliana, dove da agosto 2019 a luglio 2020 è stato registrato un numero di alert superiore del 33% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Gli ultimi dati, poi, mostrano che nel 2020, gli incendi nell’Amazzonia brasiliana superano di oltre il 52% la media decennale, e di quasi un quarto (del 24%) quelli degli ultimi tre anni. Nel mese di luglio, l’Istituto brasiliano di ricerca spaziale (INPE), ha registrato nella sola Amazzonia brasiliana, un aumento del 28% del numero di incendi rispetto allo stesso periodo del 2019 (6.803 incendi registrati rispetto ai 5.318 roghi di luglio 2019), principalmente causati dall’impennata dei livelli di deforestazione illegale.

Deforestazione e cambiamento climatico stanno spingendo l’Amazzonia verso “l’estinzione”.  La foresta ridotta e degradata è più soggetta ad incendi, alla perdita di biodiversità e perde la capacità di fornirci quei  servizi irrinunciabili che ci fornisce. La foresta amazzonica genera infatti piogge, raffredda la Terra, assorbe gas serra, immagazzina carbonio, custodisce il 10% della biodiversità mondiale, contrasta la desertificazione, produce acqua, cibo e medicine; oltre a custodire ancora comunità indigene senza le quali, spesso, molte aree della foresta amazzonia non sarebbero protette e custodite. Ma per esistere ha bisogno del vapore e delle piogge prodotti dai suoi stessi alberi: una singola molecola di acqua in Amazzonia, grazie agli alberi, può cadere sotto forma di pioggia fino a 6 volte. Molti ricercatori sono concordi nel dire che la distruzione della foresta amazzonica si stia velocemente avvicinando ad un punto oltre il quale l’ecosistema, vero e proprio motore della biosfera, rischia di collassare. Questo punto viene chiamato “tipping point”,  un punto di non ritorno. La perdita tra il 20% e il 25% della distesa di alberi porterebbe infatti ad una drastica riduzione delle piogge e dell’umidità cruciali per fare vivere e mantenere la foresta stessa. Un microclima più arido e asciutto innescherebbe inevitabilmente la graduale scomparsa della foresta tropicale, lasciando spazio ad aride savane. L’ecosistema collasserebbe in maniera irreversibile. Ad oggi la foresta amazzonica brasiliana ha perso il 19% della superficie di alberi presente nel 1970. Continuando con l’attuale trend di deforestazione secondo gli scienziati più accreditati il tipping point sarà raggiunto in 10-15 anni.

Il WWF chiede l’attuazione di misure urgenti per far fronte all’emergenza e che fra queste venga immediatamente realizzata una conferenza internazionale per proteggere la foresta Amazzonica, bene imprescindibile dell’umanità. Per allontanarci dal punto di non ritorno dobbiamo ottenere norme che impediscano alle aziende di importare beni che hanno determinato la deforestazione; dobbiamo fare pressione sulle azioni dei governi, affinché contrastino le pratiche di conversione in pascoli e piantagioni e arrivino ad un’economia a carbonio zero; dobbiamo essere consumatori responsabili e considerare l’Amazzonia come un bene che garantisce l’esistenza della stessa umanità.

Se non invertiremo la rotta in Amazzonia, ma anche in tutte le foreste del pianeta il rilascio di milioni di tonnellate di anidride carbonica in più causerà conseguenze devastanti a lungo termine. Questa crisi provocata dagli incendi si aggiunge ai terribili impatti immediati che decimano la biodiversità, distruggono gli ecosistemi cruciali, minacciano vite, proprietà, mezzi di sussistenza, ed economie, oltre ad aumentare il rischio di provocare problemi di salute a milioni di persone in tutto il mondo. I governi devono rendere più ambiziosi piani nazionali per il Clima e la riduzione delle emissioni previsti dall’Accordo di Parigi. I Paesi hanno l’opportunità di farlo da subito, in vista della presentazione all’ONU gli obiettivi NDC (Contributi Nazionali Determinati) rivisti e aggiornati.

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