Iperossaluria primitiva, la dr.ssa Giorgia Mandrile: “Con la RNA interference potrebbe cambiare la storia naturale della malattia”
Circa un centinaio di pazienti in Italia: sono le persone colpite da iperossaluria primitiva, una malattia genetica rara che causa l’accumulo di cristalli di ossalato di calcio nei reni, con la formazione di calcoli, e che provoca danni anche in altri organi e tessuti, come il cuore, le arterie, le ossa e la cute. “Nel nostro Paese i pazienti sono distribuiti in modo omogeneo fra le Regioni, e anche a livello europeo non sono state notate particolari differenze nella frequenza della patologia”, sottolinea la dr.ssa Giorgia Mandrile, dirigente medico della SSD Microcitemie e della funzione di Counselling genetico presso l’AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano (Torino).
Dottoressa Mandrile, in che modo si trasmette questa malattia genetica?
“La modalità è autosomica recessiva, ovvero per sviluppare la malattia è necessario ereditare una mutazione da ciascuno dei genitori, che sono portatori sani. Una coppia di portatori ha quindi il 25% di possibilità ad ogni gravidanza di avere un figlio malato. Non ci sono differenze tra maschi e femmine nel rischio di sviluppare la condizione e, come per tutte le malattie recessive, anche nell’iperossaluria primitiva l’unione tra consanguinei aumenta il rischio di avere un figlio malato”.
Ci può parlare dell’esperienza del suo Centro, e sua personale, nell’iperossaluria?
“L’esperienza italiana in iperossaluria primitiva è iniziata negli anni ’80, con Antonio Amoroso per la genetica, e con Franco Linari, Martino Marangella, Licia Peruzzi e diversi altri medici per la clinica. Successivamente, la diagnosi genetica del gene AGXT, responsabile dell’iperossaluria di tipo 1, è stata trasferita presso la Genetica Medica dell’ospedale San Luigi di Orbassano, dove lavoro. Nel 2008 siamo entrati a fare parte di OxalEurope, lo European Hyperoxaluria Consortium, che ha lo scopo di favorire un continuo scambio di dati ed esperienze tra i diversi professionisti che in Europa si occupano di questa malattia. Io mi sono avvicinata all’iperossaluria negli anni in cui ho frequentato, come studentessa prima e specializzanda poi, la Genetica Medica del San Luigi, e ho trovato affascinante questa patologia in cui la mancanza di un solo enzima a livello epatico causa così tanti problemi di salute. Ho quindi iniziato a seguire i pazienti, affiancata da figure con grossa esperienza nel campo, come i professori Amoroso e De Marchi per la genetica, e i dottori Marangella e Peruzzi per la parte clinica. Successivamente, negli anni del dottorato, ho avuto la possibilità di estendere le indagini ai nuovi geni GRHPR e HOGA1 e di approfondire gli aspetti di ricerca. Infatti, questa è una patologia genetica che offre grandi possibilità di unire la ricerca clinica e di laboratorio. In quegli anni, è nata una fruttuosa collaborazione con la prof.ssa Cellini, che ha iniziato a studiare, in modelli cellulari, le mutazioni della proteina AGT diagnosticate nei pazienti, con interessanti risvolti sulla clinica. Negli stessi anni, è iniziata la collaborazione con il gruppo del prof. Salizzoni e del prof. Romagnoli, che dirigono l’importante centro di trapianto epatico a Torino e grazie ai quali è stato possibile ottenere campioni di fegato dei pazienti al momento del trapianto, campioni che hanno consentito lo sviluppo di progetti di ricerca in collaborazione anche con altri membri del consorzio OxalEurope. E oggi abbiamo la possibilità di vedere gli interessanti risultati della terapia con il meccanismo della RNA interference (RNAi), che probabilmente sarà in grado di cambiare la prospettiva di vita di questi pazienti e la storia naturale della malattia”.
Nell’iperossaluria, qual è il legame fra il genotipo (la mutazione del DNA) e il fenotipo (la manifestazione clinica)?
“Le maggiori conoscenze sulla relazione tra genotipo e fenotipo si hanno per l’iperossaluria di tipo 1, causata da mutazioni del gene AGXT. La mutazione più comune, p.Gly170Arg (G170R), è associata ad una residua attività di AGT ed è responsiva alla terapia con piridossina (vitamina B6, cofattore di AGT). Gli omozigoti per questa mutazione (i pazienti che ereditano la mutazione G170R da entrambi i genitori) hanno un andamento clinico più favorevole. Insieme al gruppo OxalEurope abbiamo pubblicato uno studio su pazienti europei (Mandrile et al., 2014), in cui abbiamo dimostrato che l’insorgenza di sintomi e il rischio di insufficienza renale sono correlati al tipo di mutazione del gene AGXT: gli omozigoti G170R hanno i primi sintomi di malattia in età più avanzata (mediana di 6 anni) e una più lenta progressione verso l’insufficienza renale (che compare intorno ai 34 anni) rispetto a pazienti con altri tipi di mutazione. In particolare, le mutazioni nulle (che impediscono completamente la funzione di AGT) sono associate ad una precoce insorgenza di malattia (intorno ai 3 anni) e di insufficienza renale (10 anni). Per alcune mutazioni è stato possibile verificare nella clinica l’andamento predetto con gli studi in vitro: ad esempio, la mutazione p.Phe152Ile è associata un andamento clinico migliore, mentre la mutazione p.Ser81Leu ad un quadro clinico più grave”.
Perché l’iperossaluria non è stata inserita nel panel dello screening neonatale esteso? Crede che sarebbe opportuno aggiungerla?
“Il dosaggio degli ossalati richiede una notevole precisione ed un’adeguata strumentazione di laboratorio. È noto che, in particolare per il dosaggio dell’ossalato plasmatico, un prelievo o una conservazione del campione non adeguati possono produrre risultati non corretti. Inoltre, non in tutti i neonati si osserva un incremento degli ossalati, a 3 giorni di vita, tale da portare alla diagnosi di iperossaluria primitiva. Ritengo che sarebbe più utile uno screening per iperossaluria in tutti i pazienti con episodi ripetuti di calcolosi renale, a qualunque età”.
In Italia ancora non esiste un’associazione dedicata ai pazienti affetti da questa malattia…
“Come per altre malattie rare, anche nell’iperossaluria primitiva è fondamentale il ruolo di un’associazione di pazienti, che purtroppo in Italia non è ancora nata. Esistono associazioni per malattie nefrologiche pediatriche rare, ma non ne esiste una dedicata unicamente all’iperossaluria, malattia che vede coinvolti sia gli adulti che i bambini con le loro famiglie. Il sostegno di un’associazione ci aiuterebbe a diffondere la capacità di riconoscere precocemente questa malattia e ci aiuterebbe nella costituzione di un registro di patologia, progetto che stiamo cercando di realizzare anche a livello europeo con il consorzio OxalEurope. Si è costituita un’associazione europea, PH Europe, che sta cercando di riunire i pazienti dei diversi Stati comunitari e che ha organizzato, per il 19 settembre 2020, una giornata di informazione sulla malattia tramite webinar, che sarà tradotto in diverse lingue per consentire la partecipazione a quanti più pazienti e famiglie possibile”.