Una diagnosi precoce e il massimo delle cure possibili in terapia intensiva possono portare a un calo della mortalità da Covid-19 fino al 50%
Una diagnosi precoce, assieme al supporto del massimo delle cure possibili in terapia intensiva, può portare un calo della mortalità fino al 50% da Covid-19. E’ quanto ha evidenziato uno studio italiano, che vede come capofila il Policlinico Sant’Orsola di Bologna, che ha descritto il meccanismo responsabile della elevata mortalità in terapia intensiva dei pazienti.
Lo studio è stato pubblicato nei giorni scorsi su “Lancet Respiratory Medicine” e dimostra che il virus può danneggiare entrambe le componenti del polmone: gli alveoli (le unità del polmone che prendono l’ossigeno e cedono l’anidride carbonica) e i capillari (i vasi sanguigni dove avviene lo scambio tra anidride carbonica e ossigeno).
Quando il virus danneggia sia gli alveoli che i capillari polmonari muore quasi il 60% dei pazienti. Quando il virus danneggia o gli alveoli o i capillari a morire è poco più del 20% dei pazienti. Il “fenotipo” dei pazienti in cui il virus danneggia sia gli alveoli che i capillari (pazienti col “doppio danno”) è facilmente identificabile attraverso la misura di un parametro di funzionalità polmonare (la distendibilità del polmone < 40; valore normale 100) e di un parametro ematochimico (il D-dimero > 1800; valore normale 10).
Questi risultati sull’importanza della diagnosi precoce, spiega il portale Insieme contro il cancro, hanno importanti implicazioni sia per le cure attualmente disponibili che per i futuri studi su nuovi interventi terapeutici per i pazienti con COVID-19. Lo studio è stato condotto su 301 pazienti ricoverati presso il Policlinico di Sant’Orsola di Bologna, il Policlinico di Modena, l’Ospedale Maggiore, il Niguarda e l’Istituto Clinico Humanitas di Milano, l’Ospedale San Gerardo di Monza e il Policlinico Gemelli di Roma.