Presentati nuovi dati di efficacia e sicurezza dell’acido obeticolico in pazienti italiani con colangite biliare primitiva
Durante il congresso dell’EASL (Associazione Europea Studio del Fegato) sono stati presentati importanti dati relativi all’utilizzo dell’acido obeticolico (OCA) in un’ampia casistica italiana di pazienti con PBC (colangite biliare primitiva). Questi importanti risultati sono stati presentati dal prof. Umberto Vespasiani Gentilucci, professore associato di Medicina Interna, Unità di Epatologia, Università Campus Bio-Medico di Roma che ha sottolineato come l’OCA è risultato efficace e ben tollerato in un contesto reale all’interno di una popolazione eterogenea che includeva pazienti con cirrosi e sovrapposizione PBC-epatite autoimmune.
La colangite biliare primitiva è una patologia epatica autoimmune cronica che causa una progressiva distruzione dei piccoli dotti biliari all’interno del fegato.
Studi clinici già pubblicati hanno evidenziato efficacia e sicurezza dell’acido obeticolico nei pazienti con colangite biliare primitiva intollerante o inadeguatamente reattiva all’acido ursodesossicolico (UDCA).
I nuovi dati italiani presentati ad EASL 2020 riguardano endpoint di efficacia e sicurezza in real life in una popolazione non responsiva all’UDCA.
Per quanto concerne l’efficacia sono stati considerati la risposta biochimica alla terapia dopo 6 e 12 mesi in accordo con i criteri adottati nello studio POISE (ALP <1,67/ULN con una riduzione di almeno il 15% dal basale e livello di bilirubina totale normale) nelle popolazioni ITT e PP.
Endpoint secondari di efficacia erano la variazione dei livelli di ALP, GGT, ALT, AST e bilirubina totale a 6 e 12 mesi di terapia con acido obeticolico. Per quanto riguarda la sicurezza è stato valutato sistematicamente il prurito e sono stati raccolti gli eventi avversi che hanno portato alla sospensione del trattamento.
I pazienti sono stati arruolati retrospettivamente attraverso l’analisi del registro italiano della PBC; il Club Epatologi Ospedalieri (CLEO) e l’Associazione Italiana Gastroenterologi ed Endoscopisti Digestivi Ospedalieri (AIGO).
Tutti i pazienti adulti avevano PBC ed erano in trattamento con acido obeticolico iniziato tra settembre 2017 e febbraio 2020. I pazienti avevano assunto almeno una dose di OCA e con un follow-up complessivo di almeno 12 mesi.
Sono stati considerati centri secondari quelli dotati di ambulatorio di epatologia generale e centri terziari quelli dotati di un ambulatorio dedicato alle malattie epatiche autoimmuni.
Sono stati inclusi pazienti con sovrapposizione PBC e AIH (epatite autoimmune) e cirrosi
La sovrapposizione PBC-AIH è stata definita secondo le linee guida EASL ed è stata sempre confermata per via istologica e con pazienti in trattamento immunosoppressivo stabile da almeno 6 mesi.
La cirrosi epatica è stata definita sulla base di valutazioni cliniche (reperti biochimici, ecografici e/o endoscopici) o istologici. Il trattamento con acido obeticolico è stato indicato secondo quanto deciso per l’Italia e secondo i criteri per il rimborso e quindi ALP ≥1,5 xULN e/o ≥1 mg/dL, bilirubina ≤2 mg/dL dopo almeno 12 mesi di trattamento con UDCA o intolleranza all’UDCA.
Il trattamento con OCA è stato gestito in modo indipendente da ciascun medico in base al foglietto illustrativo del farmaco e sono stati raccolti sistematicamente dati relativi all’aggiustamento della dose e alle interruzioni del trattamento.
Sono stati quindi considerati un totale di 311 pazienti da 38 centri italiani di cui 191 con un follow up di almeno 12 mesi. Sono stati inclusi 94 centri secondari e 97 terziari.
I risultati hanno mostrato per i pazienti con follow up di 12 mesi, una percentuale pari al 15% di pazienti con sovrapposizione PBC-AIH e 32% con cirrosi. La bilirubina totale era superiore a 1mg/dL nel 31% dei pazienti.
La dose di OCA è stata inferiore a 5 mg al giorno nel 5% dei pazienti, pari a 5 mg nel 60% dei pazienti e superiore (fino a 10 mg) nel 35%.
Risultati nei pazienti cirrotici e non cirrotici con sola PBC
Nell’analisi ITT (popolazione che aveva assunto almeno una dose di OCA) evidenzia che il 34% e il 42.9% dei pazienti che hanno assunto OCA per 6 e 12 mesi hanno raggiunto la risposta biochimica, rispettivamente. Mentre il 37.4% e 51.9% hanno raggiunto questo endpoint primario nell’analisi per-protocol (pazienti con dati disponibili dopo 6 e 12 mesi di trattamento con OCA).
Per quanto riguarda i risultati secondari di ALT, ALP e bilirubina totale sia a 6 che a 12 mesi, il massimo è stato raggiunto a 12 mesi quando l’ALT è diminuita del 32.3%, l’ALP del 31.4% e la bilirubina totale dell’11.2%.
L’OCA è stato interrotto dal 17% dei pazienti per problemi di sicurezza soprattutto per prurito di vario grado intercorso nel 27% dei pazienti.
Riguardo alla dose, 115 pazienti (71%) hanno iniziato con 5 mg/die e tale dose è rimasta invariata; 29 pazienti non hanno fatto la titolazione; 66 pazienti (35%) hanno iniziato con 5 mg/die e titolato fino a 10 mg/die dopo 6 mesi; 10 pazienti (6%), 6 dei quali cirrotici, hanno iniziato e mantenuto una dose inferiore a 5 mg/die.
Come aspettato i pazienti trattati con una dose superiore a 10 mg/die dopo 6 mesi hanno raggiunto una minore riduzione dell’ALP (-20% vs -28% vs basale, p=0.06 che si è invertita a 12 mesi (-31% vs -35%, p=0.16). una titolazione superiore ai 10 mg ha prodotto una risposta non diversa dal basale, rispetto a pazienti che hanno iniziato e mantenuto il trattamento con OCA alla dose di 5mg/die.
I pazienti con cirrosi erano più anziani e nel 75% avevano ricevuto OCA alla dose di 5 mg/die.
Considerando gli endpoint primari e in particolare la risposta biochimica, nell’analisi ITT a 12 mesi i pazienti cirrotici mostrano una risposta molto più bassa dei non cirrotici (29,5% vs 49,2%) mentre a 6 mesi anche nell’analisi PP anche se la risposta dei cirrotici è più bassa non raggiunge la significatività statistica.
La risposta biologica è risultata simile tra cirrotici e non cirrotici mentre tra i 50 pazienti con iperbilirubinemia 15 hanno interrotto il trattamento. I dati mostrano un 30% e 40% di normalizzazione dei livelli di bilirubina a 12 mesi nell’analisi ITT e PP, rispettivamente; la bilirubina si normalizzava più facilmente nei pazienti non cirrotici.
Per questioni di sicurezza i pazienti cirrotici hanno interrotto più frequentemente il trattamento rispetto ai non cirrotici (30% vs 12%, p=0,004) e la causa principale di interruzione è stato il prurito (55% vs 71).
Pazienti con sovrapposizione PBC-AIH
I pazienti che avevano sovrapposizione di PBC e AIH erano più giovani rispetto ai soggetti con sola PBC, avevano avuto diagnosi qualche anno prima e avevano anche iniziato con un leggero anticipo di tempo il trattamento con acido obeticolico.
Per quanto riguarda gli endpoint primari sia a 6 che a 12 mesi, non sono state evidenziate sostanziali differenze tra questi pazienti con overlap di PBC e AIH rispetto a quelli con sola PBC.
Riguardo alla risposta biochimica è risultata sostanzialmente identica tra i due gruppi ma a 6 mesi i pazienti con entrambe le problematiche hanno mostrato una maggiore riduzione dell’alanina aminotrasferasi rispetto ai pazienti con solo PBC.
I dati di sicurezza non hanno evidenziato differenze tra i due gruppi.
Conclusioni
Il prof. Vespasiani ha concluso sottolineando che in questa analisi l’OCA è risultato efficace e ben tollerato in un contesto reale all’interno di una popolazione eterogenea che includeva pazienti con cirrosi e sovrapposizione PBC-AIH.
Pazienti cirrotici e non cirrotici hanno avuto una risposta “biologica” uguale alla terapia con OCA, ma i pazienti cirrotici hanno interrotto il trattamento più frequentemente.
In questi pazienti è necessaria un’attenta selezione prima del trattamento con OCA, personalizzando la dose ed eventualmente aumentando la titolazione oltre a una pronta gestione degli eventi avversi per ridurre i tassi di interruzione e massimizzare l’efficacia del trattamento
Nei pazienti con cirrosi di grado Child-Pugh B e C il trattamento va iniziato con 5 mg a settimana che può essere aumentato a 10 mg due volte a settimana.
Il trattamento con OCA ha determinato un miglioramento delle transaminasi nei pazienti con sovrapposizione PBC-AIH durante la terapia immunosoppressiva stabile; questo suggerisce effetti antinfiammatori anche sulla componente epatica della sindrome.