Da case vuote a spazi civici comuni: l’architetta femminista Silvana Pisano rivoluziona Montevideo, in Uruguay. Ecco l’intervista dell’agenzia Dire
Mappare le case vuote della città, riprogettarle attraverso un processo partecipativo e redistruibirle per restituirle alla comunità. Succede a Montevideo, in Uruguay, e l’attivatrice di questo straordinario processo di riappropriazione degli spazi cittadini a uso civico porta il nome di Silvana Pisano: architetta, femminista, dal 2015 assessora all’Urbanistica della capitale sudamericana.
A raccontare la sua esperienza amministrativa nel corso del laboratorio di progettazione partecipata promosso ieri e oggi alla Casa delle Donne ‘Lucha y Siesta’ a Roma, è la stessa Pisano, collegata da Montevideo e tradotta nel giardino di via Lucio Sestio 10 da Adriana Goni Mazzitelli, professoressa di Urbanistica Partecipata all’Universidad de la Republica di Montevideo e coordinatrice di Reactor usi civici in vuoti urbani, intervistata a margine dell’assemblea plenaria dall’Agenzia di stampa Dire (www.dire.it).
“È un programma che nasce nel 2009 per provare a evitare l’espansione della città verso la periferia, mappando tutte le case vuote della città per fare dei progetti di redistribuzione per usi sociali, anche per le cooperative sociali per l’abitazione- racconta la docente- Soltanto quando arriva Silvana Pisano, però, questo programma inizia a funzionare veramente”. L’azione amministrativa dell’assessora si basa sulla “capacità di espropriare case grazie alla legge nazionale approvata nel 2018, che accelera i tempi e obbliga il proprietario a un massimo di 2 anni per pagare i debiti”, pena l’esproprio. È nella riassegnazione, invece, che si insinua lo sguardo femminista di Pisano: “E’ lei che ha messo al centro del processo gruppi tralasciati storicamente: le comunità afro e lgbt, le donne– spiega- Ha provato a dargli degli spazi nel centro della città, da dove partire per fare dei progetti comuni”. Come molte capitali del mondo, infatti, anche Montevideo, infatti, ha vissuto un processo di gentrificazione e di espulsione degli abitanti verso le periferie da un centro storico in cui sono stati mappati ben 124 immobili vuoti, “comprati dal mercato in attesa che si alzi il prezzo”, spiega Goni, in una “speculazione edilizia” anche di marca argentina, che vede investitori “di Buenos Aires venire da noi perchè siamo un Paese sicuro, solido, stabile. A questo “processo di segregazione spaziale urbana”, che concentrava la popolazione più ricca sulla costa e i poveri in periferia, si è opposto dapprima un sindaco, dello stesso partito di Pepe Mujica, nel 2009, che però lo ha fatto in “una forma molto tecnocratica”, con il processo che si è arenato proprio sul tema proprietà privata-esproprio. Poi è arrivata l’assessora femminista.
“Nel 2015, quando inizia il suo periodo, Silvana Pisano si guarda intorno e dice: come posso riprendere in mano questi strumenti?- racconta ancora la professoressa- Fino al 2017 non sono riusciti a capire se per loro sarebbe stato possibile espropriare le case e, quindi, nonostante la mappatura fosse chiara, i loro avvocati ci hanno messo due anni per una pratica. Dal 2017, poi, sono riusciti a iniziare i cantieri”. Parallelamente si è avviato il processo di coinvolgimento della comunità “in un percorso di progettazione partecipativa che è andato anche molto liscio” grazie al fatto che “nei primi tre mesi si è costruita una rete di fiducia, di conoscenza, che oggi continua a funzionare come rete di immobili vuoti, autonoma dal Comune”. Risultato? “Quando è arrivato il primo immobile da occupare si sono usati dei criteri di priorità, ma sono stati dei criteri condivisi insieme a loro”, dice. Cittadine e cittadini coinvolti, quindi, “spontaneamente hanno scelto tre gruppi: la comunità queer; la Coordinadora nacional de economia solidaria; un gruppo che si occupa di mobilità sostenibile”. Queste tre realtà sono state assegnate “al primo immobile”, con ben 50 proposte arrivate per le prime tre case.
“Questo ha dimostrato a tecnici e funzionari comunali, ma anche ai politici che si possono fare dei percorsi partecipativi- sottolinea l’esperta- che si creano dei progetti molto solidi”, creando “la fiducia per replicare” questo modello. E “adesso- fa sapere- si stanno mettendo due immobili abbastanza grossi a disposizione” e ce ne sono altri “in lista di attesa”. Inoltre, “hanno recuperato non solo la casa, ma anche uno spazio sottostante pubblico molto grande e bello. Quindi per noi adesso la domanda è: ma si potrebbe pensare che da queste case, da questi beni comuni, venga proposta una riqualificazione della città?“.
L’urbanistica dal basso sperimentata a Montevideo ha all’attivo ad oggi ben 26 case recuperate grazie a fondi pubblici. A fare la differenza, nel percorso ancora in atto, per Goni è stato proprio l’approccio femminista: “La critica è stata a quella partecipazione che arrivava fino a un certo punto e che, nonostante ci fossero degli input femministi, demandava la gestione agli uffici”, governati magari da meccanismi “patriarcali”. All’interno dell’amministrazione, invece, si sono formati dei “gruppi sensibili”, con architetti interessati al recupero di un patrimonio pubblico di case vuote al centro storico che sono “dei gioielli”, sottolinea Goni. Assieme a loro “la società civile, le femministe che in Uruguay sono fortissime, i quartieri e il movimento del diritto alla città. Una cosa intelligente quindi lì- conclude Goni- è allargare questa domanda su cosa fare con questi immobili vuoti ad altri attori e fare una politica di negoziazione con tutti questi soggetti”.
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