Il 70% delle donne dopo i 45 anni soffre di artrosi del pollice: intervento definitivo se le terapie conservative non funzionano
Un dolore alla base del pollice, una debolezza dei movimenti e soprattutto una difficoltà ad eseguire le abituali azioni quotidiane come stringere un oggetto potrebbero essere i primi segnali di rizoartrosi più comunemente conosciuta come artrosi del pollice. Una patologia che può comparire già dopo i 45 anni soprattutto nel genere femminile. Spesso il problema viene banalizzato e annoverato come un problema di fisiologico invecchiamento ma non è così. Quali sono i sintomi a cui stare attenti? E prima dell’invio in sala operatoria si può tentare un approccio più conservativo? A rispondere a tutti i quesiti posti dall’agenzia di stampa Dire (www.dire.it) è la dottoressa Alessia Pagnotta, responsabile Uosd Chirurgia della mano presso l’Ospedale Israelitico di Roma.
– Oggi parliamo di rizoartrosi che colpisce la mano, che cos’è e quali sono generalmente le cause?
“La rizoratrosi è l’artrosi della base del pollice e colpisce l’articolazione trapezio metacarpica. Si tratta di una patologia molto frequente nella popolazione per cui vediamo molti pazienti in ambulatorio che ci richiedono una visita perché accusano dolore. Le cause spesso si rinvengono in una displasia del trapezio che predispone all’artrosi ed è più frequente nel sesso femminile”.
– Quali sono i sintomi da non sottovalutare e che devono spingere il paziente a sottoporsi a una visita specialistica? E percé si registra una maggiore prevalenza tra le donne?
“Le donne sono più interessate da questa tipologia di artrosi perché presentano più spesso questa forma displasica del trapezio. Le percentuali si aggirano sul 70% nelle donne e il 30% quindi negli uomini. I sintomi che allarmano il paziente sono il dolore nella presa degli oggetti, nel chiudere ad esempio una caffettiera, nello stringere più in generale un oggetto ma anche a riposo. Questo pregiudica la qualità della vita del paziente perché non dimentichiamo che il pollice è il dito più importante della mano perché interviene in tutte le funzioni di presa della mano”.
– Se le terapie conservative non funzionano la chirurgia può essere risolutiva?
“Le terapie conservative sono sempre il primo approccio, difficilmente a un primo appuntamento proponiamo al paziente un’operazione chirurgica. Ci sono spesso molti pazienti che hanno una radiografia che mostra una artrosi talvolta avanzata ma non avvertono il sintomo principale, che è il dolore. Non è detto che artrosi e dolore vadano avanti allo stesso passo dunque. Molte volte consigliamo un trattamento fisioterapico e riabilitativo che miri alla mobilità del pollice e soprattutto l’uso di un’ortesi, cioè un tutore da portare la notte. Queste sono le due strategie principali e molto spesso di successo per evitare l’intervento chirurgico o comunque per posticiparlo”.
– Nel post operatorio il recupero della funzionalità della mano è totale oppure no? E in ogni caso che ruolo gioca la riabilitazione?
“Il paziente, quando gli proponiamo questo intervento denominato artroplastica biologica, è preoccupato per la mobilità che può perdere del pollice. In realtà questo è un buon intervento che lascia un pollice mobile ed è definitivo. Insomma sappiamo che non dobbiamo intervenire più sul soggetto. Ma insieme all’operazione si propone un vero e proprio ‘pacchetto’ che comprende oltre l’intervento anche un percorso riabilitativo. Perché il pollice e la mano in generale dopo un intervento va riabilitata. Successivamente il paziente deve portare un piccolo gesso sul pollice per due settimane per finire poi nelle mani del fisioterapista. L’obiettivo è rieducare la funzione del pollice e alleviare tutta quella fase sintomatologica e dolorosa che accompagna il soggetto durante le prime settimane post intervento. Il risultato dell’intervento é buono ma è necessaria una cooperazione tra il paziente, il chirurgo ed il fisioterapista”.