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I rischi della pertosse e l’importanza del vaccino

L'uso quotidiano di emollienti per tutto il corpo dalla nascita all'età di 1 anno nei bambini ad alto rischio di sviluppare la dermatite atopica non previene la malattia

La pertosse, chiamata anche tosse dei 100 giorni può essere letale: ecco perché è importante vaccinare neonati e donne in gravidanza

L’hanno chiamata anche la tosse dei 100 giorni, perché può durare anche più di 10 settimane. Comincia come un banale raffreddore, ma gli attacchi di tosse diventano via via più forti, così forti da dare spossatezza, conati di vomito e da provocare in qualche caso addirittura la frattura delle coste. E’ la pertosse: una malattia che colpisce 30 milioni di persone ogni anno nel mondo. Il 90% di questi casi avviene in Paesi in via di sviluppo e circa 300 mila persone muoiono, soprattutto lattanti non ancora vaccinati. Per contrastare la pertosse, infatti, esiste un vaccino, che è l’arma più efficace per non ammalarsi e che si comincia a somministrare al terzo mese di vita: anche perché, quando la pertosse colpisce un bambino molto piccolo, i sintomi sono ancora più pericolosi e vanno tenuti sotto stretta osservazione, spesso ricorrendo al ricovero. Ne parla con Paola Marchisio, direttore della Pediatria ad alta intensità di cura del Policlinico di Milano.

“La pertosse è una malattia infettiva causata da un batterio, chiamato Bordetella pertussis. E’ una delle malattie più contagiose: una persona infetta, attraverso goccioline di saliva (droplets), tosse e starnuti, può trasmettere la malattia dal 30% all’80% delle persone con cui viene in contatto. E’ una malattia che può avere gravi conseguenze, specialmente se colpisce i neonati e i lattanti: gli accessi di tosse in pazienti così piccoli possono complicarsi provocando apnee, insufficienza respiratoria, e nei casi più gravi possono portare anche a sofferenza cerebrale da ipossia (mancanza di ossigeno) e morte per asfissia. Nei bimbi un po’ più grandi e negli adulti di solito provoca una tosse di entità modesta ma persistente (fino a 10 settimane), motivo per cui spesso non viene segnalata al medico. Ma può essere trasmessa da queste persone a soggetti più fragili, come i bimbi che non sono ancora stati vaccinati”.

La pertosse ha un’incubazione di circa 10 giorni ed è altamente contagiosa, soprattutto nel periodo iniziale, prima che insorga la tosse persistente. La terapia prevede l’utilizzo precoce di antibiotici (in particolare azitromicina) che, se presi nella fase iniziale della malattia (la fase catarrale) possono ridurre l’intensità della sintomatologia ed evitare quindi le complicanze. Nella fase parossistica, invece (che segue la fase catarrale e che consiste nella vera e propria tosse persistente) gli antibiotici hanno scarso effetto sui sintomi ma possono comunque essere utili nel ridurre le possibilità di contagio.

Per proteggersi dalla pertosse “la prevenzione è fondamentale – spiega Marchisio – e avviene attraverso la vaccinazione, che rientra tra quelle obbligatorie ed è inclusa nella cosiddetta ‘esavalente’. La prima dose di vaccino viene somministrata al terzo mese di vita, ne segue una seconda al quinto mese e una terza al compiere del primo anno. Questo è il ciclo base, a cui seguono dei richiami a 6 e a 14 anni. L’immunità però si affievolisce nel tempo, ed è per questo che sono raccomandati dei richiami ogni 10 anni a tutti gli adulti“.

Il vaccino per le donne in gravidanza è raccomandato dal Ministero della Salute ed è gratuito. “E’ una vaccinazione che deve essere effettuata ad ogni gravidanza, anche se la donna è già stata vaccinata o è in regola con i richiami decennali o ha avuto la pertosse. Infatti, la pertosse contratta dal neonato nei primi mesi di vita può essere molto grave o persino mortale e la fonte di infezione è frequentemente la madre”.

Il periodo raccomandato per effettuare la vaccinazione è il terzo trimestre di gravidanza, idealmente fra la 27esima e la 36esima. Non ci sono rischi, è ben tollerata e non provoca effetti collaterali, né sulla mamma né sul feto. L’immunizzazione aumenta la quantità di anticorpi che la mamma passa al bambino, sia attraverso la placenta sia con l’allattamento: il risultato è che si riduce drasticamente il rischio di contagio, e se la patologia si manifesta comunque avrà dei sintomi più lievi”. Le donne che hanno già partorito, invece, possono comunque vaccinarsi entro i 3 mesi di vita del bambino: il richiamo è infine consigliato anche a tutti i famigliari stretti. Questo per mettere in atto la cosiddetta ‘strategia del bozzolo’, che permette di creare intorno al neonato una vera e propria zona di sicurezza.

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