Deficit di alfa-1-antitripsina: solo un quinto dei pazienti italiani riceve una diagnosi. Come riuscire ad identificare la malattia
In Italia, molti malati convivono per anni con patologie, soprattutto se rare, di cui non conoscono l’identità e nemmeno l’origine, sperimentandone solo la sintomatologia e senza mai trovare una spiegazione per il loro malessere. Il deficit di alfa-1-antitripsina (DAAT) è una di queste subdole malattie, per la quale, tuttavia, esistono strumenti diagnostici che, se ben combinati, possono fornire risposte concrete nei casi sospetti.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e le principali Società Scientifiche sono concordi nel raccomandare il test di screening per il DAAT a tutti i pazienti con asma non completamente reversibile e con enfisema comparso prima dei 45 anni, in assenza di fattori di rischio quali il fumo o l’esposizione alle polveri. Purtroppo, allo stato attuale delle cose, questo strumento rimane poco utilizzato e, dei circa 3000 italiani affetti da una forma di deficit di alfa-1-antitripsina trattabile, solo un quinto ha ricevuto una diagnosi, e sono ancora meno i pazienti entrati in terapia. Numeri, questi, che raccontano in modo chiaro la necessità di conoscere le risorse che sono a disposizione del medico per porre, nei casi sospetti, una corretta diagnosi di deficit di alfa-1-antitripsina.
Nelle varie regioni italiane ci sono diversi centri di riferimento per la diagnosi e il trattamento del DAAT. Le persone con sospetto di malattia possono rivolgersi al medico di medicina generale o allo pneumologo di riferimento per effettuare lo screening diagnostico, che inizia da due semplici esami, il dosaggio plasmatico dell’AAT e della PCR, che possono essere svolti in qualsiasi laboratorio di analisi.
“La diagnosi del deficit di alfa-1-antitripsina richiede l’impiego di test sia quantitativi che qualitativi”, precisa il prof. Angelo Corsico, Responsabile della Struttura Complessa di Pneumologia presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. “I test quantitativi consistono nella determinazione della concentrazione plasmatica della proteina alfa-1-antitripsina (AAT) e nel dosaggio della Proteina C Reattiva (PCR)”. Nel caso in cui, da queste analisi, si evidenzi un deficit di AAT, è necessario poi procedere con i test qualitativi, “che consistono – prosegue Corsico – nell’esame genetico, ossia nella genotipizzazione per la ricerca degli alleli deficitari più comuni, e nella fenotipizzazione proteica, che consente di confermare il risultato della genotipizzazione o di individuare un bandeggio riconducibile ad altre varianti dell’AAT, chiamate varianti rare”.
“Per identificare le varianti alleliche rare è necessario il sequenziamento del gene SERPINA1, che codifica per l’AAT”, chiarisce il prof. Corsico. “Generalmente, il sequenziamento è ristretto alle regioni codificanti e, all’occorrenza, viene esteso anche ad alcune zone introniche”. L’analisi genetica, quindi, rappresenta un livello d’esame più complesso, da eseguire presso centri specializzati, ed è perciò importante comprendere in quali casi debba essere svolta. “Il test genetico è raccomandato quando i livelli di AAT nel siero sono minori di 110 mg/dL, in assenza di flogosi”, spiega la dott.ssa Stefania Ottaviani, del Laboratorio di Biochimica e Genetica della S.C. di Pneumologia del Policlinico San Matteo. “Suggerisce un approfondimento diagnostico anche l’evidenza di un picco delle alfa1-globuline assente, ridotto o doppio nel tracciato dell’elettroforesi sieroproteica. Infine, il test genetico è consigliabile ai parenti di primo grado di individui che presentano almeno un allele patologico del gene SERPINA1”.
Se i risultati dei test qualitativi confermano la diagnosi di DAAT, a questo punto il paziente può recarsi in un centro di riferimento pneumologico per le necessarie valutazioni sulla possibile terapia o sul follow-up.
Oggi, per il deficit di alfa-1-antitripsina è disponibile anche una nuova tecnica che permette di velocizzare i tempi di diagnosi. “Ci avvaliamo di un supporto di carta speciale per la raccolta del campione ematico sotto forma di goccia di sangue da polpastrello per l’esecuzione dei test quantitativi, e di un tampone per la raccolta di materiale cellulare buccale per l’esecuzione dei test genetici”, precisa la dott.ssa Ilaria Ferrarotti, responsabile del Laboratorio di Biochimica e Genetica della S.C. di Pneumologia del San Matteo. “Entrambi i materiali, così raccolti, sono stabili a temperatura ambiente per un periodo prolungato e possono essere comodamente spediti senza refrigerazione al laboratorio per le analisi centralizzate”. La procedura di raccolta del materiale per l’analisi dei campioni utili all’esame è semplice, e i campioni ottenuti sono facilmente trasportabili in condizioni di sicurezza. “In caso di sospetto di DAAT, il paziente può fare riferimento allo specialista di branca – ad esempio lo pneumologo, l’epatologo, l’internista o il pediatra – che si occuperà di raccogliere il materiale biologico necessario all’indagine, oltre ai dati clinici e anagrafici, al consenso all’esame genetico e all’impegnativa per l’esecuzione dei test”, conclude Ferrarotti.
Un semplice prelievo di materiale dal cavo orale potrebbe rivelarsi, quindi, la soluzione di un enigma per tante persone affette da deficit di alfa-1-antitripsina, portando a un‘accelerazione dei tempi di diagnosi (ad oggi, per alcuni pazienti, il ritardo diagnostico sfiora gli 8 anni) e ad un tempestivo accesso alle terapie.