Aggressivi e con disturbi sociali, problematici nelle relazioni: nella cultura del “Va tutto bene” gli adolescenti sono sempre più fragili
Problemi negli apprendimenti o nelle relazioni, forme estreme di sport, disturbi del comportamento alimentare e delle condotte sociali, cutting. Cosa significa oggi parlare di adolescenti in crisi evolutiva? “Il processo di individuazione è complesso e va rispettato. In questa cultura del ‘va tutto bene’ c’è un grande rischio di confondere l’individuazione con l’individualismo. Il corpo diventa così un palcoscenico sul quale agiscono le sofferenze degli adolescenti e dobbiamo leggerne i sintomi, perché quello che non viene mentalizzato lo vediamo concretamente: osserviamo il corpo che non si integra con la mente, un maschile che non si integra con il femminile”. Apre così Magda di Renzo, responsabile del servizio terapie dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), la seconda e ultima parte delle due giornate precongressuali trasmessa in diretta streaming su Ortofonologia.It.
Il collettivo è “dominato da una cultura affettiva materna, e non più normativa- le fa eco Micaela Calciano, analista junghiana dell’Arpa (associazione per la ricerca in psicologia analitica)- che vede ragazzi più performanti, ma anche più fragili narcisisticamente. Questi adolescenti ripercorrono dei processi individuativi alla ‘Parsifal’, nel senso che vivono azioni sconsiderate per potersi individuare. La contraddizione è che il grande ospite indesiderato in questo processo di incarnazione nel corpo è il corpo stesso- aggiunge la psicoanalista- che non è liquido ma solido e frangibile. In terapia loro ci portano l’onnipotenza”.
E le ragazze? “Per le donne la separazione dal materno è un processo di lacerazione, strappo, sangue, menarca, parto e rinascita. In tutte le patologie adolescenziali- continua Calciano- quando le ragazze attaccano il materno, attaccano il loro corpo: cutting e anoressia“. Plusmaterno e assenza del padre sono elementi che si ritrovano anche nel fenomeno degli hikikomori. A parlarne è Pamela D’Oria, psicologa clinica e componente del pool di specialisti messo su da Magda Di Renzo per indagare il fenomeno e supportare le famiglie nell’ambito del progetto ‘ritirati ma non troppo’.
“Gli adolescenti di oggi sono circondati da adulti che evitano ogni conflitto e, se manca con i genitori, il conflitto si rivolge verso loro stessi”. Si assiste anche a fenomeni di aggressività verso padri e madri, “spesso ritenuti responsabili nel non riuscire a tenere in vita l’illusione dell’onnipotenza, del benessere, della fantasia dell’infallibilità e di una felicità ad ogni costo. Il risultato è una rabbia fortissima- fa presente D’Oria- verso la coppia genitoriale che non ha mai messo il bambino a cospetto delle piccole frustrazioni”.
Il sentimento dominante è quello della vergogna. “La vergogna viene a determinarsi nei confronti della propria interiorità, nudità, e poi esorcizzata da una cultura incentrata tutta sulle immagini”, continua D’Oria. La rabbia è diretta anche verso un paterno “non più in grado di aiutare la separazione. In questo senso il ritiro diventa l’unica possibilità di separazione dal materno”.
Alla base di un allontanamento dalla socialità si ritrovano disagi che hanno un esordio sempre più precoce: si parte con la fobia sociale, ex fobia scolare, con la difficoltà di separazione, con forme di mutismo selettivo in aumento e di ritardo semplice del linguaggio prive di difficoltà di ordine neurologico e organizzativo. “Il gruppo di studio vuole intercettare i segni predittivi di questo fenomeno sociale importante- assicura Di Renzo- a maggior ragione ora che la pandemia incoraggia lo stare a casa, provocando un aumento dei ritiri in adolescenza”.
La pandemia ha certamente “amplificato e slatentizzato i disagi già presenti negli adolescenti. Siamo portati a creare- fa sapere Rosa Rita Ingrassia, psicoanalista del Cipa – Istituto dell’Italia meridionale- nicchie, mondi e micro mondi che possono preservare l’identità psichica o qualche volta distruggerla. La stanza dei ritirati sociali, ad esempio, rappresenta proprio una nicchia che consente a questi giovani di sentirsi al sicuro da un mondo che li vuole sempre più performanti”.
Il rapporto madri-figlie si differenzia da quello delle mamme con i figli maschi. Si notano mamme sempre più divise tra figli simbiotici da un lato e figlie amazzoni dall’altro. “cos’è accaduto al femminile? Cosa spinge le madri a richiedere che le figlie siano combattenti? Di quali ferite sono portatrici? Le madri di oggi- spiega Di Renzo- sono certamente figlie di una cultura che richiede un’emancipazione dal maschile, come se incitassero le figlie a rimanere autonome dal maschile, come se non ci potesse essere una cultura sana con il maschile. Quale mandato conscio o inconscio stanno quindi consegnando alle figlie e ai figli? Questi sono due atteggiamenti totalmente diversi che rimandano a una non integrazione del principio femminile e maschile”, riflette ancora Di Renzo.
Ecco che ritorna di attualità il mito delle amazzoni: “È fortissimo – conferma alla Dire (www.dire.it) la responsabile dell’IdO- è come se questa forza negasse la fragilità generativa del corpo, tanto che è sempre nel corpo che le ragazze rimangono incagliate perché la forza è coniugata al maschile. Sono aree simbiotiche diversamente coniugate e nel caso delle amazzoni- conclude Di Renzo- risponde al bisogno del materno allontanando il maschile e vivendo una forza sagittale che guarda avanti, ma perde il principio circolare e benevolo del femminile”.