Prediabete: meno rischi di diabete con dosi giornaliere elevate di vitamina D secondo una nuova analisi dello studio D2d
Negli adulti con prediabete l’integrazione quotidiana di vitamina D per raggiungere livelli ematici superiori a quelli tipicamente raccomandati per la salute delle ossa può ridurre il rischio di insorgenza di diabete di tipo 2. È quanto emerge da una nuova analisi dello studio D2d pubblicata sulla rivista Diabetes Care.
I livelli ridotti di vitamina D costituiscono un problema molto diffuso nelle persone con e senza diabete in tutto il mondo. La ricerca ha più volte identificato una chiara associazione tra bassi livelli di vitamina D nei pazienti con insulino-resistenza e un alto rischio di sviluppare il diabete di tipo 2.
La vitamina D può avere un impatto positivo sulla secrezione di insulina. All’interno delle beta cellule interagisce con diversi tipi di recettori, che si legano tra loro e attivano il gene dell’insulina, aumentandone la sintesi. Si ritiene inoltre che aiuti la sopravvivenza delle cellule beta in chi è affetto da diabete, interferendo con gli effetti delle citochine rilasciate dal sistema immunitario. La vitamina D è anche determinante per la regolazione dell’utilizzo del calcio, che gioca un ruolo piccolo ma critico nella secrezione di insulina.
Lo studio Vitamin D and Type 2 Diabetes (D2d) ha dimostrato che gli adulti con prediabete sottoposti a supplementazione giornaliera di vitamina D per 2,5 anni, durante il follow-up avevano la stessa probabilità di sviluppare la malattia dei pazienti assegnati al placebo, indipendentemente dallo stato della vitamina D al basale. I risultati erano stati presentati al congresso dell’American Diabetes Association del 2019 e pubblicati sul New England Journal of Medicine.
Il trial D2d
Per lo studio originale, i ricercatori hanno analizzato i dati di 2.423 partecipanti di età non inferiore a 30 anni con un indice di massa corporea (BMI) compreso tra 24 e 42 kg/m² che soddisfacevano almeno due dei tre criteri glicemici per il prediabete, ossia un livello di glucosio plasmatico a digiuno compreso tra 100 e 125 mg/dl, un livello di glucosio plasmatico dopo un test di tolleranza al glucosio orale di 2 ore compreso tra 140 e 199 mg/dl o un livello di emoglobina glicata compreso tra 5,7% e 6,4% (44,8% donne, età media 60 anni, BMI medio 32 kg/m², 33,3% non bianchi).
Tra ottobre 2013 e febbraio 2017 i ricercatori hanno assegnato in modo casuale i partecipanti a ricevere 4.000 UI al giorno di vitamina D (livello medio al basale 27,7 ng/ml) o a placebo (livello medio di vitamina D al basale 28,2 ng/ml), indipendentemente dal livello sierico di 25(OH)D (25-idrossivitamina D).
«Nelle persone che soffrono di prediabete, oltre a ottimizzare lo stile di vita per raggiungere un peso corporeo più salutare, l’integrazione quotidiana con vitamina D può aiutare a ridurre il rischio di sviluppare il diabete» aveva commentato il primo autore dello studio D2d Anastassios Pittas, professore di medicina presso la Tufts University School of Medicine e il Tufts Medical Center di Boston. «Invece una somministrazione intermittente di alti dosaggi potrebbe non fornire la stesso livello di protezione».
Conferme da una nuova analisi dello studio
I ricercatori guidati da Pittas hanno analizzato l’esposizione intratriale alla vitamina D tra i partecipanti al trial D2d, calcolata come media cumulativa delle misurazioni sieriche annuali di 25(OH)D. Hanno confrontato i rapporti di rischio (HR) per il diabete tra i partecipanti che avevano livelli intratriali di 25(OH)D inferiori a 50 nmol/l, da 75 a 99 nmol /l, da 100 a 124 nmol/l e superiori a 125 nmol/l con quelli dei soggetti con livelli da 50 a 74 nmol/l, che corrisponde all’intervallo considerato adeguato dalla National Academy of Medicine.
I ricercatori hanno osservato un’interazione dell’assegnazione a vitamina D o placebo con il livello intratriale di 25(OH)D nel predire il rischio di diabete (p=0,018). L’HR per il diabete per un aumento di 25 nmol/l nel livello intratriale di 25(OH)D era 0,75 tra i soggetti assegnati alla vitamina D e 0,9 tra quelli sottoposti a placebo.
I rapporti di rischio per lo sviluppo del diabete di tipo 2 tra i partecipanti che hanno ricevuto vitamina D e mantenuto livelli intratriali di 25(OH)D tra 100 e 124 nmol/l e superiori a 125 nmol/l erano rispettivamente 0,48 e 0,29 rispetto a quanti hanno mantenuto un livello compreso tra 50 e 74.
Gli autori hanno quindi concluso che l’integrazione giornaliera di vitamina D atta a mantenere un livello sierico di 25(OH)D di almeno 100 nmol/l sembra essere un approccio promettente per ridurre il rischio di diabete di tipo 2 tra gli adulti con prediabete.
«È improbabile che verrà completato un altro grande studio di prevenzione del diabete con integrazione di vitamina D, quindi dobbiamo imparare dai dati già disponibili», ha detto Pittas. «Considerata la natura osservazionale dell’analisi, per formulare una raccomandazione finale su vitamina D e diabete bisogna attendere la pubblicazione dei dati completi di un altro ampio studio, il trial giapponese DPVD, e l’esito delle meta-analisi che combinano i risultati dei tre grandi studi che sono stati specificamente progettati per testare l’ipotesi che l’integrazione di vitamina D riduca il rischio di diabete».
Bibliografia
Dawson-Hughes B et al. Intratrial Exposure to Vitamin D and New-Onset Diabetes Among Adults With Prediabetes: A Secondary Analysis From the Vitamin D and Type 2 Diabetes (D2d) Study. Diabetes Care. 2020 Oct 5;dc201765.