La App Immuni potrebbe ridurre infezioni e decessi da COVID-19 secondo un nuovo studio dell’Università di Oxford e di Google
Con il nuovo Dpcm del 18 ottobre 2020 l’app Immuni è diventata obbligatoria per chi lavora nelle Aziende Sanitarie Locali (ASL) e, nel frattempo, la stessa Immuni con un post su Facebook festeggia i suoi primi 9 milioni di download e l’interoperabilità a livello europeo. Intanto sul fronte accademico un nuovo studio dell’Università di Oxford e di Google – non ancora pubblicato (e perciò non ancora sottoposto a peer review), ma postato su medRxiv come preprint – sembra spezzare una lancia a favore delle app di tracciamento dei contatti, mostrando che anche livelli di adozione più bassi possono ridurre infezioni, ricoveri e decessi. Questo a dimostrazione del fatto che la tecnologia può fungere da complemento in sinergia con altre contromisure, come il distanziamento sociale e il tracciamento manuale dei contatti.
I NUMERI DI IMMUNI
Per quanto riguarda la situazione italiana, secondo i dati forniti dal Ministero della Salute il 18 ottobre 2020, Immuni per ora è stata scaricata oltre 9.100.000 volte, ha inviato oltre 17 mila notifiche (anche se si tratta di un dato parziale, perché solamente un terzo dei devices Android utilizza la tecnologia di “hardware attestation”, condizione necessaria affinché i dati vengano registrati dal server) e identificato circa 900 utenti positivi. Numeri ancora non altissimi ma decisamente più incoraggianti rispetto a giugno, quando l’app fu lanciata tra lo scettiscismo di un altro studio, sempre dell’Università di Oxford, che ne dimostrava l’inutilità se non scaricata da almeno il 60% della popolazione. Studio che in realtà parrebbe essere stato male interpretato, perché in effetti il lavoro pubblicato lo scorso aprile concludeva che anche piccoli livelli di adozione potevano contribuire a salvare vite se combinati con altre misure di prevenzione e contenimento come il distanziamento sociale, test rapidi, lockdown e cure mediche.
MEGLIO POCO CHE NIENTE
Tornando al già citato studio di Oxford e Google, i ricercatori hanno eseguito una serie di simulazioni sulla popolazione delle tre contee più grandi dello Stato di Washington, per stimare l’impatto degli strumenti digitali di notifica dell’esposizione nel caso fossero stati adottati dal 15% al 75% della popolazione. I modelli hanno mostrato che se il 75% delle persone usasse un’app di tracciamento dei contatti, questa potrebbe aiutare a ridurre i decessi fino al 78% e le infezioni dell’81%. Ma anche un tasso di adozione del 15% può portare a una riduzione dell’11,8% dei decessi e del 15% di infezioni. Il che si può tradurre in migliaia di vite salvate, come ha mostrato la ricerca. In conclusione, lo studio evidenzia che più persone utilizzano i sistemi di notifica dell’esposizione, maggiore è la riduzione delle trasmissioni di COVID-19 e maggiore è la possibilità di allentare le misure di quarantena restrittive. “Il messaggio chiave dello studio è che il contact tracing fa parte di un pacchetto di intervento”, ha affermato Rob Hinch, coautore dello studio e ricercatore senior presso il Nuffield Department of Medicine di Oxford. “Anche con una bassa diffusione può dare un contributo significativo. È importante vederlo come un pilastro chiave di un pacchetto di intervento più ampio”. D’altra parte, Paesi come Irlanda e Germania considerano i loro strumenti di tracciamento dei contatti digitali un successo, nonostante il livello di adozione sia inferiore al 60%, perché i numeri delle vite salvate e delle catene di infezioni interrotte sono rilevanti.
L’UTILITÀ DI INTEGRARE I SISTEMI
Il nuovo studio di Oxford-Google ha anche esaminato l’impatto del tracciamento manuale dei contatti, concludendo, come altre ricerche, che la strategia più efficace è combinare gli interventi. Il tracciamento dei contatti digitale e quello manuale funzionano meglio se integrati, e quando abbinati al distanziamento sociale. Il risultato può essere una riduzione del numero di quarantene e la possibilità di uscire da un lockdown più velocemente. Christophe Fraser – co-autore del lavoro, consulente scientifico del programma Test & Trace del governo del Regno Unito e leader del gruppo in Pathogen Dynamics presso il Nuffield Department of Medicine dell’Università di Oxford – ha affermato che i risultati dello studio si basano sulle loro precedenti ricerche condotte nel Regno Unito e suggeriscono che un’app di tracciamento dei contatti non è un intervento autonomo, ma che dovrebbe essere integrata e continuamente aggiornata insieme ad altre misure di controllo delle infezioni esistenti e nuove – come il distanziamento sociale e la limitazione degli spostamenti – fino a quando la trasmissione di COVID-19 non sarà completamente, e in modo sostenibile, sotto controllo.
L’UTILITÀ IN ASSENZA DI DISTANZIAMENTO SOCIALE
A conferma dell’utilità delle app di “contact tracing”, è giunta a conclusioni simili anche un’altra recente ricerca dell’University College di Londra, indicando come gli strumenti digitali siano efficaci quando completano altre contromisure. Inoltre, un lavoro pubblicato su The Lancet lo scorso luglio indica che questi strumenti possono tornare utili proprio quando vengono meno altre misure anti epidemia più drastiche, come il distanziamento sociale. “Il tracciamento dei contatti tramite metodi convenzionali o la tecnologia delle app mobili è fondamentale per controllare le epidemie durante la riduzione della distanza fisica”, scrivono gli autori che nel lavoro hanno identificato i fattori chiave per il successo di una strategia di tracciamento dei contatti. Concludendo che il maggiore impatto nella riduzione del contagio si è avuto riducendo al minimo il ritardo di accesso ai test diagnostici. Ma anche che la riduzione al minimo dei ritardi nel tracciamento, per esempio grazie all’ausilio delle app, ha ulteriormente migliorato l’efficacia del tracciamento dei contatti, con il potenziale di impedire fino all’80% di tutte le trasmissioni.
L’INUTILITÀ IN ASSENZA DI STRATEGIE PER IL TESTING
I numeri che circolano questi giorni ci ricordano infine che il tracciamento (fatto manualmente o digitalmente attraverso app come Immuni) non serve a nulla se non inserito in una strategia più ampia che prevede l’esecuzione dei temponi ai contatti stretti, il loro monitoraggio e il loro eventuale isolamento. La decisione di rendere facoltativo lo scaricamento dell’app e la segnalazione della notifica ricevuta da un contatto stretto, insieme alla disorganizzazione nelle ASL di alcune Regioni italiane (e a un vero e proprio boicottaggio condotta da alcune di queste Regioni) ha fatto poi il resto.
APP IMMUNI DIVENTA INTERNAZIONALE
L’ultima novità riguardo Immuni è l’utilità che da ora in poi avrà anche oltre frontiera per gli italiani: l’app si appresta, infatti, a diventare internazionale. Come si legge ancora sulla sua pagina Facebook, l’Italia è infatti il primo Paese, insieme a Germania e Irlanda, ad attivare l’interoperabilità. Una funzione che consente ai cittadini di circolare all’interno dell’Unione Europea senza dover scaricare app diverse per ogni paese. L’azione fa parte di un servizio voluto dalla Commissione Europea, una rete chiamata “European Interoperability Gateway Service”, che consentirà di collegare le diverse applicazioni nazionali di tracciamento di COVID-19. A seguire, dovrebbero unirsi altri 12 Paesi che hanno sviluppato un’app di “contact tracing” e sono stati invitati a unirsi alla rete, oltre a Repubblica Ceca, Danimarca e Lettonia che avevano partecipato alla fase sperimentale e dovrebbero farne parte già dalla fine di ottobre.