La mindfulness, forma di meditazione orientata alla consapevolezza di sé, aiuta i bambini con ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività)
Una migliore capacità di attenzione e concentrazione nei bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) grazie alla mindfulness, una forma di meditazione orientata alla consapevolezza di sé. E’ il risultato dello studio condotto dal gruppo di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Bambino Gesù, guidato dal prof. Stefano Vicari, pubblicato in questi giorni sull’International Journal of Environmental Research and Public Health.
LA MEDITAZIONE MINDFULNESS
La meditazione mindfulness consiste in un insieme di procedure utili per “allenare” e sviluppare la consapevolezza durante la pratica meditativa con lo scopo di estenderla a ogni aspetto della vita. Negli ultimi quindici anni queste procedure sono state rivolte progressivamente anche a bambini e adolescenti nei contesti educativi, scolastici e riabilitativi. L’effetto riscontrato in età evolutiva è l’aumento progressivo della consapevolezza di ciò che accade intorno che facilita la concentrazione del bambino sul momento presente. I ricercatori del Bambino Gesù si sono posti l’obiettivo di verificare se questo tipo di meditazione potesse aiutare a migliorare l’attenzione e a favorire l’autocontrollo dei bambini con ADHD che subiscono persistenti aspetti di disattenzione, impulsività e iperattività, oltre che difficoltà nella gestione delle proprie emozioni.
LO STUDIO DEL BAMBINO GESU’
Lo studio è stato coordinato dalla psicologa Deny Menghini dell’Unità di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Bambino Gesù e condotto in collaborazione con il gruppo del prof. Franco Fabbro dell’Università di Udine, Dipartimento di Lingue e Letterature, Comunicazione, Formazione e Società. Hanno partecipato 25 bambini dai 7 agli 11 anni con ADHD che sono stati divisi in due gruppi. A un primo gruppo di 15 bambini è stato proposto un training di meditazione orientata alla mindfulness di 24 incontri (3 incontri settimanali per 2 mesi) caratterizzato da una progressione temporale: si è passati da 6 minuti nel primo incontro per arrivare a 30 nell’ultimo. L’altro gruppo di 10 bambini con ADHD rappresentava il “gruppo di controllo”. A questi bambini è stato proposto un percorso, senza mindfulness, ma della stessa durata e struttura dell’altro, in cui venivano svolte diverse attività dirette a migliorare le capacità di riconoscimento delle emozioni proprie e altrui.
GLI EFFETTI POSITIVI
In media, i bambini con ADHD che hanno seguito il percorso mindfulness hanno manifestato un miglioramento nelle prove cognitive al computer incentrate su esercizi di attenzione, memoria di lavoro e capacità di riconoscere segnali di stop per “inibire” la risposta. Anche dal punto di vista comportamentale, i genitori dei bambini hanno riferito un miglioramento di alcuni sintomi tipici dell’ADHD attraverso questionari a loro riservati.
La presenza del gruppo di controllo ha rappresentato un aspetto peculiare dello studio. E’ importante, infatti, per escludere il cosiddetto “effetto placebo”, derivante dagli aspetti positivi che la sola attenzione e la cura prolungata riservata ai bambini possono determinare. Inoltre lo studio del Bambino Gesù ha valutato gli eventuali cambiamenti utilizzando molteplici misure, come le prove oggettive al computer rivolte al bambino e i questionari rivolti al genitore sugli aspetti comportamentali.
MINDFULNESS PER LA TERAPIA
I risultati ottenuti dalla ricerca del gruppo di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Bambino Gesù sono preliminari e dovranno essere confermati da studi che includono gruppi più numerosi. A quel punto, spiega la dott.ssa Menghini, «si aprirebbero nuove possibilità di intervento sull’ADHD, e il training mindfulness potrebbe essere proposto in associazione agli attuali trattamenti multimodali che coinvolgono bambini, genitori e scuola secondo le linee guida italiane e internazionali. La mindfulness, in particolare, potrebbe aiutare a migliorare i sintomi comportamentali e cognitivi di quel 30% di bambini che oggi non risponde agli interventi multimodali».