Zeptosecondi: l’intervallo di tempo più breve mai misurato è quello impiegato da un fotone per attraversare una molecola di idrogeno
È stata misurata l’unità di tempo più breve in assoluto: il tempo impiegato da una particella leggera per attraversare una molecola di idrogeno (H2), quantificato in zeptosecondi. Uno zeptosecondo è un millesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo – 10−21, un punto decimale seguito da 20 zeri e un 1. Questa precisione supera di gran lunga quella ottenuta dal femtosecondo – milionesimi di miliardesimi di secondo – misurato dal chimico egiziano Ahmed Zewail, vincitore del Premio Nobel del 1999 per i suoi studi sugli stati di transizione delle reazioni chimiche.
I fisici della Goethe University di Francoforte, guidati da Reinhard Dörner, insieme ai colleghi del laboratorio di fisica delle particelle Desy (Deutsches Elektronen-Synchrotron) di Amburgo e del Fritz-Haber-Institute di Berlino, hanno misurato per la prima volta un processo, per grandezza, più breve dei femtosecondi, che accade nel nuovo mondo degli zeptosecondi: la propagazione della luce all’interno di una molecola. Il fotone, per attraversare una molecola di idrogeno, impiega circa 247 zeptosecondi per la lunghezza media del legame della molecola. Questo è il periodo di tempo più breve mai misurato con successo fino ad oggi.
Per ottenere questo risultato, gli scienziati hanno hanno irradiato con i raggi X una molecola di idrogeno, utilizzando la sorgente di luce del sincrotrone Petra III presso il centro Desy di Amburgo. I ricercatori hanno impostato l’energia dei raggi X in modo che un fotone fosse sufficiente per espellere entrambi gli elettroni dalla molecola di idrogeno. Gli elettroni si comportano simultaneamente come particelle e onde, dunque l’espulsione del primo elettrone dalla molecola di idrogeno, ha prodotto delle onde di elettroni lanciate prima in uno e poi nel secondo atomo della molecola di idrogeno, in rapida successione, fino alla fusione delle due onde.
Per fare un esempio, il fotone si è comportato in modo molto simile a un ciottolo piatto che viene lanciato sulla superficie di un lago, sfiorando per due volte l’acqua: le onde prodotte dal primo e dal secondo contatto con l’acqua – la depressione dell’onda e la cresta dell’onda – si sovrappongono annullandosi a vicenda e dando luogo a quello che viene chiamato uno schema di interferenza.
Gli scienziati hanno misurato il modello di interferenza del primo elettrone espulso, utilizzando il microscopio a reazione Coltrims (Cold Target Recoil Ion Momentum Spectrometer) – un apparato che Dörner ha aiutato a sviluppare e che rende visibili i processi di reazione ultraveloci negli atomi e nelle molecole. Contemporaneamente allo schema di interferenza, il microscopio Coltrims ha anche consentito la determinazione dell’orientamento della molecola di idrogeno. Qui i ricercatori hanno approfittato del fatto che anche il secondo elettrone fosse stato espulso dalla molecola di idrogeno, in modo che i rimanenti nuclei di idrogeno si separassero e fossero rilevati.
«Poiché conoscevamo l’orientamento spaziale della molecola di idrogeno, abbiamo utilizzato l’interferenza delle due onde elettroniche per calcolare con precisione il momento in cui il fotone ha raggiunto il primo e quando ha raggiunto il secondo atomo di idrogeno», spiega Sven Grundmann, la cui tesi di dottorato costituisce la base dell’articolo pubblicato su Science. «E questo dura fino a 247 zeptosecondi, a seconda di quanto distanti nella molecola i due atomi erano dal punto di vista della luce».
«Abbiamo osservato per la prima volta che il guscio dell’elettrone, in una molecola, non reagisce alla luce ovunque nello stesso momento», aggiunge Reinhard Dörner. «Il ritardo si verifica perché le informazioni all’interno della molecola si diffondono solo alla velocità della luce. Con questa scoperta abbiamo esteso la nostra tecnologia Coltrims a un’altra applicazione».
Per saperne di più:
- Leggi su Science l’articolo “Zeptosecond birth time delay in molecular photoionization” di Sven Grundmann, Daniel Trabert, Kilian Fehre, et al.