Artrite reumatoide: otilimab migliora anche la sinovite secondo i risultati di un nuovo studio di fase 2
Il trattamento con otilimab, un anticorpo monoclonale che inibisce il fattore stimolante le colonie granulocito-macrofagiche (GM-CSF), a determinate posologie, non solo è efficace sull’attività di malattia e ben tollerato, ma potrebbe anche migliorare la sinovite in pazienti con artrite reumatoide attiva. Sono queste le conclusioni di un trial di fase 2 recentemente pubblicato su Lancet Rheumatology, che suffraga le evidenze già esistenti sul GM-CSF come target da tenere presente nel trattamento dell’artrite reumatoide (AR).
Razionale e disegno dello studio
Studi già pubblicati hanno documentato da tempo un ruolo per GM-CSF come citochina pro-infiammatoria coinvolta in un ampio ventaglio di condizioni patologiche immunomediate, suggerendone l’impiego come target terapeutico da utilizzare anche nei pazienti con AR. Le chemiochine sono proteine a basso peso molecolare appartenenti alla classe delle citochine. La loro funzione principale consiste nell’attivazione e nel reclutamento (chemiotassi) dei leucociti nei siti di flogosi anche se alcune di esse svolgono e vengono prodotte in assenza di infiammazione o infezione per regolare il traffico dei leucociti nell’organismo.
CCL17 è una chemiochina coinvolta nel dolore mediato da GM-CSF e nell’attività artritica. Le concentrazioni di CCL17 sono aumentate nel fluido sinoviale di alcuni pazienti con AR rispetto a quelli con artrosi.
L’obiettivo di questo trial di fase 2 è stato quello di valutare, in pazienti con AR, l’effetto di un anticorpo anti-GM-CSF totalmente umanizzato in corso di sviluppo clinico sull’asse GM-CSF-CCL17 e sull’infiammazione sinoviale, utilizzando l’imaging a risonanza magnetico, una metodica efficace per valutare l’infiammazione sinoviale, già utilizzata in trial clinici su trattamenti efficaci e non per l’AR.
Multicentrico, randomizzato, controllato vs. placebo, il trial ha incluso 39 pazienti adulti con AR afferenti a 9 centri dislocati negli Usa, in Polonia e in Germania.
Questi sono stati randomizzati a trattamento con 180 mg di otilimab sottocute (n=28) e o con placebo (n=11). I trattamenti assegnati dalla randomizzazione sono stati somministrati sottocute ogni settimana per 5 settimane, poi ogni 15 giorni fino alla decima settimana di trattamento. A questa fase ha fatto seguito una fase di follow-up per la valutazione della safety, della durata di 12 settimane.
L’outcome primario dello studio era rappresentato dalla variazione nel tempo di ben 112 biomarcatori. Tra gli endpoint secondari, invece, vi erano la variazione, rispetto al basale, della sinovite, dell’osteite e delle erosioni, valutate mediante un sistema a punteggio basato su MRI e specifico per l’AR (RAMRIS), un punteggio RAMRIQ (RA MRI Quantitative Score) e la valutazione di safety.
Risultati principali
Effetto del trattamento sui biomarcatori
Dallo studio è emerso che le concentrazioni sieriche medie del complesso GM-CSF-otilimab raggiungevano il picco a 4 settimane (138,4 ng/l), per poi ridursi dalla sesta alla dodicesima settimana, con le concentrazioni di CCL17 decrescenti e poi tornate ai valori di partenza dopo 12 settimane. Nel gruppo placebo, invece, non sono state documentate variazioni significative delle concentrazioni di CCL17, come pure per tutti gli altri biomarcatori.
Effetto del trattamento sulla sinovite
I risultati delle misure di imaging della sinovite hanno mostrato una riduzione dal basale a 12 settimane nei pazienti trattati con otilimab. Le differenze degli outcome all’esame MRI sono state minime, con un trend precoce alla riduzione della sinovite e dell’osteite in presenza del trattamento attivo, ma non a 12 settimane dall’interruzione del trattamento.
Safety
Tutti gli eventi avversi riportati sono stati di entità lieve o moderata, mentre il numero di eventi avversi è risultato simile nel gruppo otilimab e in quello placebo (39% e 36%, rispettivamente).
Gli eventi avversi più comuno sono stati la tosse (7%) nel gruppo di trattamento attivo e il dolore alle estremità (18%) e l’AR (18%) nel gruppo placebo.
Non sono stati documentati eventi avversi seri o decessi.
Limiti e implicazioni dello studio
Lo studio aggiunge nuove evidenze del ruolo di GM-CSF come target importante nel trattamento dell’AR. Il trattamento con otilimab ha ridotto i livelli di CCL17, determinando un miglioramento precoce e sostenuto del dolore, misurato mediante scala VAS. Alcuni studi preclinici suggeriscono come l’asse GM-CSF-CCL17 possa avere un ruolo nel mediare il dolore. Inoltre, lo studio ha documentato, mediante MRI, un miglioramento con otilimab della sinovite associata all’AR.
Nel commentare i risultati, i ricercatori non hanno sottaciuto alcuni limiti metodologici intrisenci del lavoro, dalla ridotta dimensione numerica del campione di pazienti, allo sbilanciamento tra gruppi in termini di DMARD utilizzati al basale.
Ciò detto, in conclusione “…i dati supportano il razionale per l’ulteriore sviluppo clinico di otilimab come opzione di trattamento per i pazienti con AR, suggerendo come l’effetto del farmaco su CCL17 indichi in questa chemiochina un biomarcatore farmacodinamico promettente da utilizzare nei prossimi studi sull’anticorpo monoclonale anti GM-CSF”.
Bibliografia
Genovese MC et al. MRI of the joint and evaluation of the granulocyte–macrophage colony-stimulating factor–CCL17 axis in patients with rheumatoid arthritis receiving otilimab: a phase 2a randomised mechanistic study. Lancet Rheumatol. Published online October 7, 2020. doi:10.1016/s2665-9913(20)30224-1. Leggi