Lupus eritematoso: parlare di questa patologia è importante, per avere una diagnosi precoce e iniziare il trattamento
Il lupus eritematoso sistemico (LES) non è una malattia rara: sono 5 milioni le persone che ne sono affette in tutto il mondo, di cui oltre 60.000 in Italia. Colpisce per lo più le donne in età fertile, nella fascia di età che va dai 13 ai 55 anni, in un rapporto di 9 a 1 rispetto agli uomini. L’incidenza annuale di questa malattia, in media, è di 80-100 casi per ogni 100.000 abitanti e si può presentare anche in età pediatrica e senile. Della patologia si è parlato al XXIII Congresso nazionale CReI (Collegio Reumatologi Italiani).
“Il lupus è una malattia sistemica: interessa più organi, come la pelle, le articolazioni, i reni, il sangue, i tessuti connettivi e il sistema nervoso. È autoimmune, vale a dire che il sistema immunitario della persona che ne è affetta auto-aggredisce l’organismo, ed è cronica, parola che non ha bisogno di spiegazioni”, afferma Stefano Stisi, Past President CReI.
Importante è la sensibilizzazione su questa malattia, di cui purtroppo ancora troppo poco si parla, nonostante le star che ne sono interessate lo facciano, anche sui loro canali social. Alcuni esempi sono Selena Gomez, Seal e Sharon Stone, che ha raccontato della preoccupazione per la sorella affetta da Lupus eritematoso e che in estate ha contratto il COVID-19.
La causa di questa malattia è ancora sconosciuta, ma ciò che si sa è che un ruolo importante nella comparsa lo giocano la genetica, i fattori ormonali, le radiazioni ultraviolette, il fumo di sigarette, l’esposizione a fattori ambientali come virus e ad agenti chimici.
Quali sono i campanelli di allarme da non sottovalutare? “Le manifestazioni articolari, come dolore agli arti e artriti, quelle a livello cutaneo, tra cui vari rash cutanei, compresa la tipica manifestazione a farfalla sul viso che si presenta nella zona delle guance, e quelle a livello ematologico, come la riduzione dei globuli bianchi (leucopenia) e delle piastrine (piastrinopenia), devono far sospettare che si possa trattare di lupus. Questo è quanto è emerso da una ricerca sui pazienti con recente insorgenza della malattia, e che coinvolge più centri italiani specializzati nel trattamento del LES, di cui sono coordinatore”, spiega il Professor Gian Domenico Sebastiani, Direttore della UOC Reumatologia dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma, che ha portato all’attenzione dei presenti al XXIII Congresso Nazionale CReI quanto questa malattia sia sfaccettata. Tanto, da avere ancora ritardi diagnostici, in media di circa due anni dal momento dell’insorgenza dei sintomi e dei segni.
“Una diagnosi precoce è importante, perché ci permette di intervenire quanto prima sulla malattia. Per far sì che ciò accada, occorre migliorare il dialogo con il medico di medicina generale e sensibilizzare sui campanelli di allarme, appunto”, sottolinea il Professor Sebastiani, “Agire tempestivamente vuole anche dire migliorare la qualità di vita dei pazienti. Qualità che dagli anni ’50 in avanti è migliorata tantissimo e che oggi possiamo valutare anche con degli indici specifici. Dalle nostre ricerche emerge che a un anno dalla diagnosi, grazie all’efficacia dei farmaci, l’attività di malattia rallenta e la qualità della vita del paziente rimane stabile”.
Che tipo di prevenzione si può fare? “Quella primaria non è possibile, perché non esiste un sistema per vedere chi potrebbe manifestare il lupus. Ma ciò che possiamo fare è la prevenzione secondaria una volta ricevuta la diagnosi”, sostiene il Professor Sebastiani. “Le evidenze ci dicono che la foto-esposizione può esacerbare la malattia, quindi meglio non esporsi nelle ore di maggiore irradiazione degli ultravioletti e usare sempre uno schermo totale. Evitare il fumo di sigaretta, seguire un’alimentazione sana, equilibrata, tenere sotto controllo la pressione arteriosa con regolarità e il colesterolo, perché sappiamo che questa malattia può provocare una aterosclerosi accelerata e aumentare il rischio cardiovascolare. Fare costantemente un’attività fisica adeguata alle proprie esigenze è un’altra buona abitudine da adottare”, suggerisce il Professor Sebastiani.
Chi ha il lupus ha un maggior rischio di contrarre la COVID-19? “Dai dati che abbiamo al momento non risulta che i pazienti affetti da LES siano più a rischio di altri. Il trattamento del lupus, però, prevede anche degli immunosoppressori, che possono fare aumentare il rischio di infettarsi di SARS-CoV-2. Il consiglio, in generale, è quello di fare delle valutazioni con il proprio reumatologo, e fugare i dubbi con lui. Fare uso dei presidi di protezione individuale come la mascherina, lavare e igienizzare le mani e mantenere la distanza di sicurezza dalle altre persone è d’obbligo. Vaccinarsi, con i vaccini senza adiuvanti, poi, è l’altra arma che può essere d’aiuto”, suggerisce Stefano Stisi.
Una gravidanza è un desiderio che si può realizzare senza tante complicazioni come lo era in passato, ma va programmata con gli specialisti. “Dobbiamo parlare di programmazione famigliare insieme alla coppia ed evitare che si sospendano i farmaci in autonomia, senza concordarlo con il reumatologo. La prosecuzione della terapia non è dannosa per la gestazione, ma il punto fondamentale è che la malattia sia in fase di remissione e che la paziente si affidi al team di esperti che la seguiranno, reumatologo, immunologo, ginecologo, ostetrici e neonatologo, che hanno valutato caso per caso. Oggi, a differenza di anni fa, almeno l’85% delle gravidanze va a buon fine”, afferma Stefano Stisi.
Per approfondimenti, leggi anche: “Il percorso di gravidanza della donna con lupus eritematoso sistemico e sindrome da anticorpi antifosfolipidi“.