Neurofibromatosi: dietro le macchie cutanee si cela una malattia rara e pericolosa. Per prevenire tumori maligni essenziali diagnosi precoce e follow-up adeguato
“Quando mio figlio è nato, i medici hanno subito rilevato la presenza di alcune macchie color caffellatte disseminate sulla cute del bambino, che hanno indotto a pensare che potesse essere affetto da neurofibromatosi”. Con queste parole, il papà di Matteo inizia il racconto delle vicissitudini mediche di suo figlio, uno splendido bambino dagli occhi color nocciola che purtroppo è mancato, prima di compiere quindici anni, a causa di un glioblastoma, una forma tumorale estremamente aggressiva che può insorgere nei pazienti affetti da neurofibromatosi, una rara malattia genetica che predispone allo sviluppo di neurofibromi e di altri tipi di neoplasie.
Il sospetto di essere di fronte a questa patologia spinge i medici a richiedere, per Matteo, una visita oculistica di approfondimento per la ricerca di noduli di Lisch a livello dell’iride. Questo perché, oltre alla presenza di sei o più macchie cutanee di dimensioni uguali o superiori a 0,5 centimetri e di due o più neurofibromi, tra i criteri diagnostici della neurofibromatosi figurano anche le lentiggini, la familiarità e i noduli di Lisch, degli amartomi brunastri riscontrabili a livello oculare. Matteo presenta macchie e lentiggini sul corpo ma non mostra neurofibromi interni: in famiglia, a detta dei genitori, non vi sono altri casi simili al suo e la visita oculistica dà un responso negativo. Tuttavia, l’esame genetico conferma la neurofibromatosi di tipo 1 (NF1) e, poco dopo, il bambino viene sottoposto alla lunga serie di analisi cliniche di approfondimento richieste per il follow-up della malattia, analisi che comprendono la raccolta di dati auxologici e l’esecuzione di visite cardiologiche, genetiche e dermatologiche, di un elettrocardiogramma, dell’ecografia addominale e di una lunga serie di test di laboratorio. Gli esami sono nella norma ma, a pochi mesi dalla nascita, le macchie risultano già aumentate.
“Abbiamo seguito i protocolli, certi che quello che pensavamo fosse un fenomeno prettamente cutaneo potesse rimanere tale”, prosegue il papà di Matteo. “Nel 2013, a distanza di sette anni dalla diagnosi, ho portato mio figlio a fare una visita di controllo. I medici hanno confermato l’estesa presenza di macchie caffellatte e di lentiggini suggerendo una nuova visita genetica pediatrica, insieme a un controllo oculistico e dermatologico”. Matteo viene reinserito nel programma di follow-up, sottoposto ad altri esami ematologici e strumentali e tenuto sotto osservazione. Fino al 2015 tutto procede regolarmente ma, improvvisamente, una notte di luglio il bambino cade preda di un violento attacco epilettico e viene trasportato d’urgenza al pronto soccorso dove, in seguito all’esecuzione di una risonanza magnetica, gli viene diagnosticato un glioblastoma.
“Ci è caduto il mondo addosso”, riprende il padre. “Matteo è stato immediatamente sottoposto a un intervento chirurgico di rimozione del tumore e, successivamente, a diversi cicli di chemioterapia e radioterapia. Da quel momento è iniziato un vero e proprio calvario che, purtroppo, si è concluso con la morte di mio figlio. Siamo distrutti e proviamo una profonda rabbia, anche perché l’oncologo ci ha spiegato che Matteo era a rischio di sviluppare neurofibromi, ma nel corso degli anni, non ci è mai stato suggerito di eseguire una risonanza magnetica di controllo, né questo esame è stato praticato dall’ospedale che aveva in cura Matteo”. Le linee guida internazionali attualmente in vigore per la gestione della neurofibromatosi non prevedono l’esecuzione di questo esame nel programma di follow-up della malattia: per i bambini affetti è prevista una valutazione annuale dei sintomi visivi (gli esami dell’acuità visiva e del fondo oculare servono per la ricerca di gliomi del nervo ottico o di glaucomi), la misurazione della circonferenza del cranio, del peso e dell’altezza, il controllo della pressione arteriosa e la valutazione dello sviluppo puberale. Si tratta di esami utili a monitorare la crescita del bambino, a cui si accompagnano indagini sullo stato di salute dell’apparto cardiocircolatorio e la ricerca di anomalie della colonna vertebrale o della cute. Infine, vengono presi in considerazione il grado di interazione del bambino e i suoi progressi scolastici.
Negli ultimi tempi , l’ambiente medico sta discutendo della possibilità di introdurre, nel programma di follow-up della neurofibromatosi, anche l’impiego della risonanza magnetica. Sempre in base alle attuali linee guida internazionali, questo esame è previsto solo alla comparsa di sintomi motori, crisi epilettiche, attacchi di emicrania di crescente entità e frequenza, aumento della pressione intracranica, attacchi ischemici, perdita di acuità visiva, neurofibromi plessiformi o encefalopatia e deterioramento cognitivo. Le persone affette da neurofibromatosi, infatti, risultano a maggior rischio di sviluppare anche tumori cerebrali che, in circa un terzo dei pazienti, possono avere un decorso clinico infausto. In casi simili, come accaduto al piccolo Matteo, effettuare una risonanza magnetica al momento della comparsa dei sintomi può essere già troppo tardi.
In Italia, purtroppo, non esistono delle lineee guida uniformi e condivise sulla gestione della neurofibromatosi. “Oggi sto conducendo una battaglia per favorire l’omogeneizzazione dei percorsi diagnostico-terapeutici per la malattia su tutto il territorio nazionale”, conclude il papà di Matteo. “È fondamentale che medici e ricercatori, insieme alle associazioni e ai rappresentanti dei pazienti, valutino i vantaggi e gli svantaggi della risonanza magnetica nel monitoraggio della neurofibromatosi, per giungere ad un eventuale inserimento di questo importante strumento diagnostico nei protocolli di follow-up. È altrettanto essenziale, inoltre, che i genitori dei bambini con neurofibromatosi vengano sempre informati sulla possibilità di sottoporre i loro figli a questo esame”.
Per approfondimenti, leggi anche: “Neurofibromatosi, per la diagnosi e il follow-up servirebbero linee guida nazionali”.